I finanzieri dei Comandi provinciali di Napoli, Roma, Catanzaro e Reggio Calabria, unitamente ai finanzieri dello Scico e ai Carabinieri del Ros, coordinati dalle rispettive Direzioni Distrettuali Antimafia e dalla Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, stanno dando esecuzione a provvedimenti cautelari a carico di una settantina di persone responsabili di associazione di tipo mafioso, riciclaggio e frode fiscale di prodotti petroliferi.
Contestualmente sono in corso sequestri di immobili, società e denaro contante per un valore di circa 1 miliardo di euro.
L'operazione, secondo quanto si appreso, è frutto di 4 diverse indagini, coordinate dalle diverse Procure antimafia di Catanzaro, Reggio Calabria, Napoli
e Roma e dalla Direzione nazionale antimafia. Le indagini sono confluite nella maxi operazione alla luce del fatto che avevano ad oggetto le stesse dinamiche criminali anche se con soggetti coinvolti diversi.
Una "nefasta sinergia" tra mafie e colletti bianchi, senza l'apporto dei quali le prime difficilmente avrebbero potuto far fruttare al massimo le frodi fiscali nel settore degli oli minerali. E' quella portata alla luce dall'operazione 'Petrolmafie Spa' nella quale sono confluite quattro inchieste condotte, rispettivamente, dalle Dda di Napoli, Roma, Reggio Calabria e Catanzaro - con il coordinamento della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo e di Eurojust - e che stamani ha portato al sequestro di beni per circa un miliardo di euro e all'esecuzione di 56 ordinanze di custodia cautelare (35 in carcere e 21 ai domiciliari) e 15 fermi. Dalle indagini è emersa, riferiscono gli investigatori, "la gigantesca convergenza di strutture e pianificazioni mafiose originariamente diverse nel business della illecita commercializzazione di carburanti e del riciclaggio di centinaia di milioni di euro in società petrolifere intestate a soggetti insospettabili, meri prestanome". A condurre le indagini i finanzieri dei Nuclei di Polizia economico finanziaria e dello Scico di Roma nonché, su Catanzaro, del Ros dei carabinieri che hanno evidenziato il coinvolgimento del clan camorristico Moccia nel controllo delle frodi negli oli minerali, e dei clan di 'ndrangheta Piromalli, Cataldo, Labate, Pelle e Italiano nel Reggino e Bonavota di S. Onofrio, gruppo di San Gregorio, Anello di Filadelfia e Piscopisani a Catanzaro. Sul fronte anti-camorra hanno operato le Dda di Napoli e Roma con indagini, rispettivamente, sul clan Moccia - ritenuto uno dei più potenti e pericolosi dell'organizzazione camorristica - e sulla Max Petroli. Dalle indagini è emerso il rapporto avviato dal gruppo con la Max Petroli SRL - ora Made Petrol Italia - di Anna Bettozzi. Quest'ultima, secondo l'accusa, trovandosi a gestire una società in grave crisi finanziaria, sarebbe riuscita a ottenere forti iniezioni di liquidità da parte di vari clan di camorra, riuscendo a far passare il volume d'affari da 9 a 370 milioni di euro in tre anni. Anna Bettozzi, per l'accusa, avrebbe sfruttato non solo il riciclaggio di denaro della camorra, ma anche i classici sistemi di frode con 20 società "cartiere" per eludere con la Made Petrol le pretese erariali. La rilevanza del business dei Moccia provoca anche reazioni violente da parte di altri clan della camorra. Alberto Coppola, per esempio, subisce due attentati prima che Antonio Moccia riesca ad imporre una pax mafiosa.
Sul versante delle indagini sulla 'ndrangheta, l'indagine, avviata nel giugno 2018 dalla Dda di Catanzaro quale prosecuzione dell'operazione "Rinascita-Scott",
si è incentrata sulle figure di alcuni imprenditori vibonesi, attivi nel settore del commercio di carburanti, ritenuti espressione della cosca Mancuso di Limbadi, e collegati alle articolazioni Bonavota, Anello e Piscopisani nel vibonese e Piromalli, Italiano e Pelle nel reggino. Sono stati accertati due sistemi di frode, riguardanti il commercio del gasolio, attraverso il coinvolgimento di 12 società, 5 depositi di carburante e 37 distributori stradali, elaborati, organizzati e messi in atto proprio dagli indagati. Oltre all'evasione dell'Iva e delle accise su prodotti petroliferi, l'associazione avrebbe commesso innumerevoli reati fiscali ed economici. La frode consisteva nell'importazione, perlopiù dall'est-Europa, di prodotti petroliferi artefatti e oli lubrificanti, successivamente immessi in commercio come gasolio per autotrazione. Un'altra tipologia di frode, riconducibile a una seconda associazione, contemplava lo strumentale ricorso al
deposito fiscale romano dalla società Made Petrol Italia promossa e organizzata a Vibo con il contributo dei medesimi imprenditori vibonesi e con la partecipazione di indagati, soprattutto romani e napoletani, intranei ad associazioni camorristiche napoletane. A Reggio Calabria, infine, le indagini hanno riguardato una struttura organizzata, attiva nel commercio di prodotti petroliferi, ritenuta responsabile di aver utilizzato sistemi di frode allo scopo principale di evadere le imposte attraverso l'emissione e l'utilizzo delle "Dichiarazioni di Intento".
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