È in libreria per Rubbettino
"Nameless", il nuovo romanzo di Massimo Felice Nisticò, chirurgo
urologo catanzarese non nuovo a imprese artistico-letterarie.
Autore di inni sacri che vengono cantati in quasi tutta la
regione, Nisticò, ha già pubblicato una raccolta di racconti,
"Un'altra stagione" (Premio Cesare Pavese) e i romanzi "Carne"
(finalista al premio Carver) e "Sono finite le stelle cadenti".
In questa sua nuova opera, Nisticò abbraccia ampie
tematiche tutte di stringente attualità, dall'inquinamento e
all'ingegneria alimentare alla genetica, al terrorismo. Due sono
tuttavia gli aspetti che fanno da fil rouge al racconto: la
sterilità e la paternità. Sterilità che si declina in molteplici
forme e intesa nel senso classico come impossibilità di
concepire a sterilità nei rapporti umani come incapacità di
tessere relazioni feconde, persino all'interno dello stesso
ambiente familiare. L'altro tema è la paternità, una paternità
evanescente, desiderata e allo stesso tempo mai raggiunta, una
paternità dalla quale si fugge e che si rincorre. La storia
muove i passi dalla tragedia dell'11 settembre e da quello stato
di smarrimento e confusione che nei giorni successivi prese a
intorpidire l'Occidente. Al centro c'è il futuro di un'azienda
retta da molti anni dalla matriarca Rachele Berni Ternani che
deve però trovare una nuova generazione per affrontare i tempi
nuovi. Ma la nuova progenie stenta a venire fuori; e i tre figli
di Casa Ternani sono tutti spinti dalla matriarca a farsi carico
di questo bisogno: dare alla famiglia un erede capace di
prendere in mano il timone dell'Azienda in modo da pensare
concretamente al Futuro. E proprio quando il mondo intero pare
essersene del tutto dimenticato, gli accadimenti violenti e
sovversivi tendono a rimarcare che non c'è speranza per un
futuro luminoso; così fra i fratelli Ternani sembra nascere
un'assurda competizione mascherata dal diritto di ciascuno di
loro ad autodeterminarsi. Su ognuna delle singole vicende dei
tre pare ricadere, inesorabile, la Storia più grande. C'è un
senso di sgomento che attanaglia tutti e che comporta la perdita
di ogni identità. Ecco perché ognuno sente in fondo di essere un
nameless, un 'senza nome'.
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