Era finito sotto processo con
l'accusa di essere un prestanome del clan Mallardo e ora, dopo
avere incassato l'assoluzione in primo e secondo grado, a
distanza di ben sette anni da quella triste vicenda,
l'imprenditore Domenico Capriello si è visto restituire tutti i
beni che all'epoca gli erano stati sequestrati. L'inchiesta
della DDA, denominata "caffè macchiato" risale al 2014. Fece
molto scalpore all'epoca perché assestò un duro colpo al clan
del boss Feliciano Mallardo. Ieri, la sezione misure di
prevenzione del Tribunale di Napoli, ha messo la parola fine al
calvario di Capriello disponendo la confisca di parte dei beni
sequestrati durante il blitz ma anche la restituzione di quelli
che gli furono tolti. "Non ho mai smesso di sperare in questo
giorno, - dice tra le lacrime l'imprenditore - pregando sempre
che i giudici del Tribunale Misure di Prevenzione, come già
avevano fatto assolvendomi quelli di primo e secondo grado da
tutti i reati con la formula più ampia possibile, potessero
comprendere la assoluta, piena ed indiscutibile titolarità delle
mie società delle quali ho sempre curato in prima persona affari
ed interessi. Adesso voglio guardare oltre, riprendere a
lavorare e fare tutto ciò che non ho potuto fare in questi anni,
perché bloccato da un provvedimento che ancora oggi non so
spiegarmi". Capriello nonostante l'incubo in cui era precipitato
nutre ancora fiducia nel futuro e spera in una ripartenza che
ovviamente la pandemia rende ancora più complicata. "Valuteremo
- commenta l'avvocato Damiano de Rosa - la possibilità di
chiedere il risarcimento, anche davanti agli Organi di Giustizia
Europea: è assurdo che oggi una persona possa vedere per oltre
sei anni disposto il blocco dei propri beni, pur in presenza di
due provvedimenti assolutori pieni ed incontrovertibili e
nonostante le varie istanze che sin dall'inizio documentavano
l'assoluta inconsistenza della tesi accusatoria".
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