"'Salva mia mamma', mi diceva, io
le chiedevo nella sua lingua, perché parlo anche ucraino, 'che
cosa sta succedendo?' e lei continuava più volte a urlare
'corri, corri, salva mia mamma": è raccapricciante la
testimonianza di Oleva Donchack, la donna russa che lo scorso 10
marzo a Napoli, ha salvato dalle fiamme la figlia di 5 anni di
Anastasiia Bondarenko, la giovane ucraina di 22 anni trovata
carbonizzata nell'appartamento di vico San Antonio Abate 21 dove
abitavano. La piccola, ignara del fatto che proprio il compagno
della mamma era l'assassino, si è più volte aggrappata alla mano
del 26enne Dmytro Trembach, anch'egli ucraino e descritto come
una persona dedita all'alcol e particolarmente geloso. Adesso,
quell'uomo, è in carcere con l'accusa di avere appiccato
volontariamente le fiamme proprio per uccidere Anastasiia,
sorpresa dal rogo mentre si stava facendo la doccia, troppo
tardi per scampare alla morte.
La bimba ha anche cercato di bloccarlo ma lui, invece, ha
tirato dritto per la sua strada, senza guardarsi indietro,
lasciando l'abitazione, la sua compagna e la bimba, preda delle
fiamme. Non a caso Dmytro è stato definito dal padre dotato di
"un carattere freddo, superficiale e menefreghista". A
incastrarlo, inequivocabilmente, sono i messaggi e le telefonate
alla madre della vittima (nelle quali ha affermato: "Io ho
bruciato Anastasiia") e anche le parole della bimba, la quale ha
confermato la presenza di Dmytro in casa poco prima del rogo.
Il 26enne, è stato sottoposto a fermo, lo scorso 17 marzo,
dai carabinieri che lo hanno rintracciato ad Acerra (Napoli)
mentre era a bordo di una Fiat 500. Ha cercato di sviare le
indagini indirizzandole su un connazionale, ha dichiarato che
nell'appartamento in cui si è avvenuta la tragedia lui non
c'era, ma la bimba e le celle dei ripetitori a cui si è
agganciato il suo telefono lo smentiscono. Ha anche negato la
relazione con la vittima. E anche queste parole sono state
smentite dai testimoni e, soprattutto, dalle foto trovate sul
suo cellulare.
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