"Ho iniziato lo sciopero della
fame per un atto di solidarietà nei confronti degli allevatori
bufalini che in questi anni di applicazione del piano di
eradicazione della brucella, predisposto dalla Regione Campania,
hanno sperimentato la disperazione di un percorso senza
'soluzione'. Esser loro vicini è un dovere". Inizia così la
lettera aperta di Francesco Geremia, segretario generale di Cna
Campania Nord, primo rappresentante di un'associazione di
artigiani ad aderire ad una "modalità di lotta così estrema",
come lo sciopero della fame avviato cinque giorni fa dagli
allevatori bufalini del Casertano che chiedono il ritiro del
piano regionale di eradicazione della brucellosi e della Tbc
bufalina e il cambio di rotta rispetto al recente passato,
quando 140mila bufale sono state abbattute e solo l'1,4% è
risultata infetta con analisi post mortem.
Animatore della protesta, che va avanti da mesi con cortei,
presidi e appunto gli scioperi della fame (questo è il secondo
in due mesi), è Gianni Fabris, portavoce del Coordinamento
Unitario degli allevatori bufalini, in sciopero della fame da
cinque giorni, affiancato ogni 24 ore da un "compagno" diverso.
Da ieri sera con Fabbris ha iniziato lo sciopero proprio
Francesco Geremia, che spiega di condividere "le preoccupazioni
e le grida di allarme di tanti allevatori e artigiani
trasformatori della filiera bufalina, molti di questi giovani
imprenditori in relazione al piano regionale". Un piano che
"lusingava, ovviamente, il superamento del problema della
brucellosi bufalina, ma purtroppo così non è stato e quella
promessa si è trasformata in un tradimento, prima, in una beffa,
poi: 140 mila bufale abbattute, circa 350 attività
imprenditoriali scomparse, aumento dei focolai infettivi.
All'analisi post mortem dei capi abbattuti, solo 1,4% (dati
ufficiali ASL) sono risultati positivi ai patogeni".
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