"Amo la dilatazione
orizzontale dell'immagine perché consente di ammirarla
perdendosi dentro. Oggi, complice alcune specifiche piattaforme
social, ci stiamo abituando al taglio verticale che sottrae
contenuti allo sguardo. Ma noi, tutti noi, giovani e adulti,
dobbiamo continuare non solo a guardare ma anche a pensare e a
sognare orizzontale". Paolo Ruffini dialoga con i giurati di
Giffoni e si scaglia contro il politically correct. "Il cinema è
arte e l'arte non è politicamente corretta. Se fosse così -
afferma - oggi non potremmo ammirare e studiare i capolavori di
Pasolini, pellicole come Ultimo tango a Parigi e nemmeno i film
di Fantozzi. Siamo alla follia. L'arte è libertà".
L'attore poi parla di sé. "Mi muove semplicemente la
curiosità. Sviluppo i temi senza fare il figo sul piano
autoriale e senza mettere il coperchio sulla emotività. Mi piace
fare ridere e piangere il pubblico. Lo ritengo un dovere".
Secondo il poliedrico artista il cinema, per dirla con Truffaut,
è "una notizia che non finisce mai". Come il teatro, d'altronde:
"Non so se tra cento anni ci sarà ancora Tik Tok. So per certo
che ci sarà il teatro, autentico metaverso della realtà".
Dalla vita reale a quella sul set: "Il narcisismo può creare
conflitti tra produttore e regista come tra quest'ultimo e gli
attori" annota. "Bisogna avere la capacità di fare un passo
laterale. È come in una storia d'amore: l'eccessiva proiezione
egoica rischia di rovinarla".
Infine la dichiarazione di amore al festival: "Giffoni è
gentilezza, sorrisi, abbracci. A chi soffre di ansia e di
infelicità posso solo consigliare di venirci: in questo posto ti
senti bene e ti torna la fiducia nel genere umano".
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