"L'Intelligenza artificiale non è
una novità. In letteratura per esempio è la voce narrante. Non
sono un divulgatore ma uno scrittore, mi affascina
l'irrazionalità della scienza, della ragione". Outsider geniale,
metafisico e trasversale, il cileno Benjamín Labatut, 44 anni e
l'aspetto di un ragazzino, racconta a Capri, dove ritira il
Premio Malaparte, il suo ultimo romanzo 'Maniac'(Adelphi) che va
all'origine dell'AI e non solo), ed è già un caso per la
critica internazionale.
Nato in Olanda, avi italiani, lingua del cuore l'inglese, nel
nuovo capitolo del suo rapporto fuori dagli schemi con la
scienza come genere letterario, dopo il successo di 'Quando
abbiamo smesso di capire il mondo (Adelphi), ci fa scoprire la
super mente John von Neumann (1903-1957), l'ungherese che
stabilì la struttura matematica della meccanica quantistica e
passando per la teoria dei giochi arrivò al Progetto Manhattan,
quello dell'ormai celebre Robert Oppenheimer, il padre della
bomba atomica celebrato dal blockbuster di Nolan. Maniac è una
delle sue macchine, l' antenato dei nostri computer. "Il modo
migliore per descrivere i rischi nella scienza è formulato
proprio da Neuman - racconta lo scrittore - lui ci dice infatti
che la scienza è neutra, allo stesso modo utile e indifferente
per tutti gli scopi. Tra le imprese umane è la più pericolosa e
anche la più importante: ma a decidere quello che vogliamo
davvero dobbiamo essere noi. Neuman ci dice anche che per il
progresso non esiste una cura. E questo mi è molto chiaro
viaggiando oggi in Europa, e venendo da un paese che non l'ha
ancora raggiunto. Arrivando qui vedi però il prezzo che questo
progresso ci porta a pagare. Nonostante tutto continuiamo però
ad essere irrequieti e pieni contraddizioni".
Ed ancora, sull'argomento centrale dei nostri tempi, l'AI: "La
gente non lo coglie ma parliamo di un modello predettivo che non
si basa sulla replicazione o la copia e non sa essere creativo.
Tutti i modelli più avanzati si concentrano infatti sulla
predizione e questo sì che avrà impatto sulle nostre vite perché
oggi non siano più in grado di immaginare il futuro".
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