Occorre combattere l'emergenza usura e riciclaggio con le misure di polizia e con l'azione della magistratura ma ciò che serve, nel medio e nel lungo termine, è il ricorso all'arma della cultura, specie nei territori 'fragili'; spesso questi due fenomeni sono analizzati separatamente dal contesto sociale dove sono disseminati. Da questa scissione derivano criticità e inadeguatezze nel contrasto e, ancor più, nella prevenzione. E' la tesi della professoressa Annamaria Rufino, docente di Sociologia giuridica della devianza e del mutamento sociale nell'Università della Campania 'Luigi Vanvitelli', secondo la quale "a monte, nell'affrontare il fenomeno, vi sono storiche stratificazioni gestionali, che si traducono in disattenzioni o semplificazioni più o meno volontarie, ma anche in sottovalutazione del 'valore cultura': proprio della cultura, che costituisce il nesso connettivo dei cittadini, giovani e meno giovani, con la loro terra".
In altre parole, spiega all'ANSA la studiosa componente del gruppo di ricerca Prin Usura e Riciclaggio, "studiare, leggere e produrre cultura sono i principali strumenti per rendere attivo e produttivo un territorio e una società, per combattere la devianza, l'emarginazione e la povertà". Vedersi calpestate e sottratte aspirazioni, demoliti progetti di vita e riciclate idee "corrode, oltre che usurare l'investimento per il futuro". Il ragionamento della professoressa Rufino è il seguente: "La narrazione che, spesso, connota gran parte dei territori del Sud Italia parla di un dato sconcertante, la povertà culturale. I due termini, povertà e cultura, vengono fatti coincidere con dati statistici, ormai accreditati da tempo: abbandono scolastico, inadeguatezza strutturale, bassissimo tasso di lettura, fuga dei giovani". Studiare al Sud "non produrrebbe un investimento per il futuro dei giovani e di tutto il Sud. Purtroppo, sono dati reali. Tuttavia, il termine povertà andrebbe analizzato con maggiore attenzione, tanto più se abbinato all'aggettivo 'culturale'. La povertà, in senso stretto e letterale e riferendoci agli standard accreditati a partire dalla Rivoluzione industriale, significa che si produce poco, da un punto di vista etimologico sarebbe da intendersi come risultato della contrazione di 'pauca e parens'. Dunque, la cultura, di cui si dispone nel Sud, non basterebbe a vivere, perché non produce". Rufino definisce questa condizione come "un sovraindebitamento culturale", un meccanismo che "innesca una sorta di usura sociale". Il debito culturale e sociale si sovrappone 'a' o coincide, molto spesso, 'con' il debito materiale". Nell'uno e nell'altro caso, dunque, la possibilità di poter vivere un futuro accettabile diviene un lusso non raggiungibile. L'emarginazione giovanile trova, così - secondo la docente -"due strade percorribili, l'indebitamento materiale o la fuga. I due estremi si declinano, normalmente, con la disoccupazione, il lavoro nero o la rinuncia ad un lavoro coerente con le proprie aspettative, nel primo caso, cioè con l'indebitamento materiale; o con l'abbandono del proprio contesto sociale, affettivo e relazionale, nel secondo caso, cioè con la fuga. In entrambi i casi il proprio potenziale culturale e sociale é vittima di usura". Questo ampliamento concettuale "non ci deve esimere dall'attenzione per ciò che concretamente rappresenta nei territori più poveri del Paese l'usura in senso stretto". Tuttavia, i due ambiti non sono scindibili, o non dovrebbero esserlo, a parere della docente. "A fagocitare il potenziale di crescita, sia socio-culturale che economico-produttivo è l'erosione sistematica delle capacità e delle idee dei cittadini. Sottomettere giovani e meno giovani, disconoscendo le loro potenzialità, subordinati, come sono, a soggetti prevaricatori, coincide con la sottrazione delle idee, delle capacità e delle potenzialità. Una sorta di patto commissorio "regola" le dinamiche tra chi parte o rinuncia e chi si arroga il potere di gestire ciò che viene lasciato, la propria terra, la propria progettualità e la propria cultura" conclude la professoressa Rufino.
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