O srngar, o causularo, a signor ro
collocament, a chiatt. Dal siringaio (chi fa le iniezioni a
domicilio) al calzolaio, dall'impiegata dell'ufficio di
collocamento alla grassona: sono alcuni dei soprannomi in
dialetto napoletano che, ancora oggi, i parenti di una persona
defunta affiancano al nome sui manifesti funebri affissi, di
solito, nella zona in cui era vissuta e aveva lavorato. Un modo,
in una città in cui spesso ci si chiama solo col soprannome, per
far arrivare la notizia a tutti quelli che conoscevano il morto,
o la morta. Federico Albano Leoni, filologo e docente di
glottologia per 30 anni alla Federico II di Napoli, ora in
pensione, ha raccolto negli anni migliaia di questi manifesti:
una collezione unica che è anche una mostra virtuale accessibile
a tutti sul sito www.polodigitalenapoli.it.
"Mi appassionai anni fa a leggere i manifesti funebri -
racconta oggi Albano Leoni, in un convegno dedicato alla sua
collezione - e ho cominciato a fotografarli, indagando sul
significato profondo di definizioni e soprannomi che, in realtà,
non erano rivolti a tutti, ma alla gente del vicolo, del rione".
A tutti quelli, insomma, "che conoscevano di sicuro il morto, ma
magari non col suo nome, ma per il mestiere, l'aspetto, una
caratteristica fisica, un tic, la provenienza, un vezzeggiativo.
Definizioni riportate nel manifesto, spesso con ortografie
selvagge, estranee alla stessa lingua napoletana. Penso a una
parola come 'o sringar, l'uomo che nella vita va nelle case a
fare le iniezioni, conosciuto da tutti per il suo mestiere e
descritto dunque con questa strana parola che ha solo una
vocale. Quel manifesto mi accese la curiosità e poi la passione
che mi ha portato a raccoglierne circa 3.000, ora ospiti del
sito del Polo digitale degli Istituti culturali di Napoli".
"I manifesti funebri si trovano ovviamente in tutta Italia,
ma solo a Napoli - dice Leoni - succede che quando muore Maria
viene definita 'a purtuallar' (venditrice di portogalli, cioè le
arance - ndr), il suo mestiere con il quale tutti la
identificavano. Questo caratterizza Napoli e altre zone a
leopardo della Campania, ad esempio Ischia è piena di questi
manifesti, mentre a Capri non ce ne sono. E poi emerge anche la
forte presenza femminile nella gerarchia familiare: solo qui si
mette 'morto Giovanni Esposito vedovo di..." e il nome della
moglie. In genere succede il contrario".
Per il docente, romano di madre partenopea, la collezione è
anche il ricordo di momenti di vita a Napoli: "una mattina vidi
nella zona di Montesanto, un manifesto con la scritta "è morta
Maria detta Maria dint è fnstell'". Vuol dire Maria affacciata
alle finestre, ma che voleva dire? Bussai alla casa vicina al
manifesto e una donna mi disse che la vecchietta viveva sola in
un 'basso' con due piccole finestre e che lei stava sempre lì a
guardare la gente che passava. 'E noi la chiamavamo Maria dint è
fnstell'".
Una tradizione dei rioni ma che viene usata anche dai
camorristi, come racconta il docente: "i manifesti dei
camorristi restano affissi un po' più a lungo. Ne ho visti, mi
viene in mente quel ragazzo morto ai Tribunali in una
sparatoria. Il manifesto diceva 'durante un gioco tragico è
morto', ma non era un gioco tragico, sono vittime di omicidi,
non giocano".
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