(di Nando Piantadosi)
Puntava sui giovani, il clan
Amato-Pagano, a cui insegnava come fare le estorsioni (un
"addestramento alla durezza") dopo averli irretiti utilizzando
sapientemente i loro social preferiti, Tik-Tok e Instagram, sui
quali venivano veicolati messaggi ed immagini di potere e
ricchezza. Emerge anche questo dall'indagine della Dia di
Napoli, coordinata dal pm della Dda partenopea Giuliano Caputo,
sfociata oggi in 53 arresti (43 in carcere e 10 ai domiciliari)
notificati ad altrettanti componenti l'organizzazione malavitosa
che tra Napoli e provincia teneva sotto scacco i cittadini
imponendo il pizzo perfino agli imbianchini.
Ad illustrare i particolari dell'operazione sono stati il
procuratore Nicola Gratteri, il direttore della Dia di Napoli
Michele Carbone e il capocentro Claudio De Salvo. Ed è stato
proprio Gratteri ad evidenziare il "ruolo apicale" delle donne:
il clan, una volta guidato da Rosaria Pagano, ora detenuta al
41bis, dal 2021 era sotto la reggenza di Debora Amato, 34 anni,
figlia della Pagano e di Pietro Amato, membri delle due famiglie
scissioniste uscite vincenti dalle cosiddette faide di Scampia
che l'hanno viste contrapposte al clan Di Lauro. Al suo fianco,
secondo inquirenti e collaboratori di giustizia e come hanno
confermato anche le intercettazioni, Debora aveva una lunga
serie di collaboratori, tra familiari stretti e affiliati.
Gli scissionisti, imponendo il pizzo anche a umili lavoratori
come gli imbianchini, non solo volevano i soldi ma anche "il
controllo del loro respiro", ha sottolineato il procuratore. E
sui social ostentavano il loro potere: foto di costosissimi
orologi Rolex e Audemars Piguet; bottiglie di champagne Dom
Perignon, cortei di auto lussuose tra cui Ferrari e Lamborghini,
affiliati in costume su barche da sogno e mazzette di banconote
da 100 e 50 euro a profusione. Soldi provenienti da una sorta di
'cassa comune' del clan, dalla quale venivano prelevate le
'mesate' per decine di affiliati, sia liberi che detenuti: circa
8.000 euro mensili. Gratteri ha anche ricordato che è stata la
camorra, la prima in Italia, a usare i social per farsi
propaganda e lanciare i suoi messaggi, "per mostrare di essere
vincenti" e "normalizzare il crimine".
Il clan era solito differenziare le richieste estorsive
tenendo conto della capacità di pagare della vittima. Durante le
festività venivano imposti i gadget natalizi; c'era poi il pizzo
riscosso dalle aziende che lavoravano grazie ai superbonus
fiscali e pure la gestione delle aste giudiziarie. Ma il
core-business rimaneva il narcotraffico internazionale, storica
attività di famiglia, coltivata grazie ad affiliati
appositamente dislocati in Spagna e a Dubai. Nel novero delle
attività illecite pure le case popolari: il clan si appropriava
di quelle sfitte e poi le assegnava per gestire il consenso sul
territorio. Tra i beni sottoposti a sequestro, frutto del
riciclaggio, anche una società di noleggio e vendita di auto.
Gli affiliati detenuti, infine, dal carcere usavano i cellulari
per tenersi in contatto con il clan.
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