di Stefano Secondino
L'accelerata sul clima non è riuscita a John Kerry e Roberto Cingolani. L'inviato del presidente Joe Biden sulla crisi climatica e il ministro italiano della Transizione ecologica, al G20 dei ministri dell'Ambiente di Napoli volevano convincere i venti Grandi ad alzare l'asticella rispetto all'Accordo di Parigi. L'obiettivo era farli impegnare a mantenere il riscaldamento globale sotto 1,5 gradi al 2030 (Parigi prevede 2, senza una data precisa) e a chiudere tutte le centrali a carbone al 2025. Ma Cina e India si sono opposti, e l'accelerata non è passata. O meglio, è stata rinviata al G20 dei capi di stato e di governo del 30 e 31 ottobre a Roma: decideranno loro se darla o meno. Venerdì al Palazzo Reale di Napoli era prevista la discussione su clima ed energia. Giovedì sulla tutela degli ecosistemi e della biodiversità si era raggiunto un accordo senza grandi difficoltà, ma stavolta la trattativa era in salita. Usa, Europa, Giappone e Canada, ricchi di capitali e di tecnologie, vogliono accelerare sul taglio delle emissioni, anche rispetto all'Accordo di Parigi. Ma Cina e India non ci sentono: hanno bisogno delle fonti fossili a buon mercato per alimentare la loro crescita. Gli sherpa negoziavano su un possibile accordo dal febbraio scorso. A Napoli, le delegazioni hanno trattato due giorni e due notti di seguito. Kerry e Cingolani giovedì avevano stretto un patto di ferro: dobbiamo riuscire a portare tutti i Grandi sulle nostre posizioni, riscaldamento sotto 1,5 gradi al 2030 e via il carbone al 2025. Secondo i tecnici americani, solo con una accelerata alla decarbonizzazione in questo decennio si può davvero rispettare l'Accordo di Parigi. Se si va gradualmente, si finisce per sforare anche i 2 gradi. Venerdì l'inviato della superpotenza globale e il padrone di casa italiano hanno preso uno per uno i delegati per convincerli. Dopo pranzo, Cingolani, ha mandato fuori i tecnici e ha convocato tutti i ministri: la decisione doveva essere politica. Ma Cina e India si sono messi di traverso. I delegati dei due paesi hanno chiamato i loro Ministeri dell'Economia per sapere se potevano scendere a un compromesso. Ma da Pechino e New Delhi è arrivato il no: va bene impegnarsi a rispettare l'accordo di Parigi, ma legarci a 1,5 gradi al 2030 è troppo costoso per le nostre economie. "Al G20 Ambiente volevamo essere più ambiziosi sulla decarbonizzazione, ma oltre non si poteva andare - ha commentato alla fine Cingolani -. Così, i due punti li abbiamo rinviati al G20 dei Capi di Stato". Il ministro si dice comunque soddisfatto dei risultati ottenuti: "Abbiamo raggiunto l'accordo su 58 punti del documento finale. Era la prima volta che a un G20 clima ed energia venivano trattati assieme. Abbiamo concordato sull'accelerazione del passaggio alle energie pulite in questa decade, sull'allineamento dei flussi finanziari agli impegni dell'Accordo di Parigi, sull'adattamento e la mitigazione degli effetti del cambiamento climatico, sugli strumenti di finanza verde, sulla condivisione delle migliori pratiche tecnologiche, sul ruolo di ricerca e sviluppo, sulle città intelligenti e resilienti. Sono stati approvati due documenti della Presidenza italiana sulle smart city e le comunità energetiche e sulle rinnovabili offshore, e due allegati sulla povertà energetica e sulla sicurezza energetica". Soprattutto, ha spiegato il ministro, "non c'è nessuno dei G20 che abbia messo in dubbio l'Accordo di Parigi -. Tutti hanno detto che vogliono rispettarlo. Quattro mesi fa diversi paesi non volevano neppure sentire parlare di certi argomenti, ora hanno firmato. C'è stata una maturazione culturale. Non a caso, i lavori si sono aperti con le condoglianze ai delegati di Germania e Olanda per le vittime delle alluvioni".