Si tratta di otto miliardi di dollari, come aveva anticipato tre giorni fa il presidente della Noc, Farhat Bengdara, che nelle ultime ore ha anche sottolineato che in Libia "Il settore energetico non vedeva un investimento di questa portata da più di un quarto di secolo".
L'accordo riguarda due giacimenti prospicienti la costa occidentale del Paese, ha precisato il capo della Compagnia nazionale. La joint-venture paritetica Eni-Noc dovrebbe operare in due aree esplorative in un blocco marino dove è già stato scoperto gas nelle strutture "A" ed "E", circa 140 chilometri a nord-ovest di Tripoli.
I due giacimenti hanno riserve stimate per 6 trilioni di piedi cubi e per svilupparli saranno necessari circa tre anni e mezzo, ha avvertito Bengdara. Al ritmo di 850 milioni di piedi cubi al giorno, la produzione potrà andare avanti per 25 anni, ha previsto: in metri cubi, si tratta 8,78 miliardi l'anno.
La Libia è al quinto posto nella classifica dei Paesi africani con le maggiori riserve di gas (53 trilioni di piedi cubi) dopo Nigeria (203), Algeria (159), Mozambico (100) ed Egitto (63). Ma, anche se meno di quello algerino (attraverso la Tunisia), il metano libico è molto vicino alla Sicilia: tra Mellitah e Gela il tratto sottomarino del gasdotto GreenStream è lungo 'solo' circa 520 km.
Costruito nel 2003-2004 da Eni, che ne è proprietaria insieme Noc, contrattualmente la capacità di trasporto del gasdotto verso l'Italia è 'tarata' a sei miliardi di metri cubi l'anno che, con aggiustamenti, potrebbero essere aumentati a otto.
Nel 2022 GreenStream ha trasportato solo circa 2,5 miliardi: si tratta di poco meno di un terzo di quanto prodotto da Eni in Libia l'anno scorso (9,3 miliardi di metri cubi). Margini di aumento della produzione libica per contribuire all'affrancamento italiano dalle forniture russe - realizzando al contempo il "Piano Mattei" per fare dell'Italia l'hub europeo dell'energia proveniente dall'Africa - sembrano esistere: due terzi del gas libico servono infatti per far funzionare le centrali elettriche del Paese, un quinto alimenta l'industria e solo un 15% va in export.
L'accordo che dovrebbe essere firmato domani è "un chiaro messaggio alla comunità imprenditoriale internazionale che lo Stato libico ha superato la fase dei rischi politici", ha sostenuto Bengdara con implicito riferimento ai blocchi petroliferi imposti dal generale Khalifa Haftar per perseguire i propri fini egemonici.
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