Apre i battenti oggi, all'auditorium
di San Pancrazio, nel centro storico di Tarquinia, la mostra
'Ciò che è si vede' del ceramista Marco Vallesi che ha
'riscoperto' pietre vulcaniche ed essenze della Tuscia,
forgiandole ad alte temperature, servendosi di forni ad
elevatissimo calore, e facendole rinascere a nuova vita in forme
suggestive e piene di rimandi all'arte etrusca senz'altro ma
anche alle lezione surrealista e visionaria di Sebastian Matta,
della cui 'bottega' - una 'fucina' per molti talenti della
cittadina del viterbese, eletta a buen retiro dall' artista
cileno - anche Vallesi ha respirato l'aria negli anni giovanili,
e 'appreso'.
L'esposizione, con buccheri e vasi reinterpretati, e oggetti
misteriosi che invitano al contatto e trasudano magnetismo, è
promossa dalla Società Tarquiniense d'Arte e Storia (Stas), con
il sostegno del Ministero della Cultura, si inserisce nel
contesto della biennale d'arte - intitolata a 'Luciano Marziano
e Vasco Palombini', studiosi e cultori delle arti plastiche -
che la Stas organizza per valorizzare la produzione ceramica
locale, considerando che Tarquinia fa parte ed è nel circuito
dell'Associazione Italiana delle Città della Ceramica.
Le pietre, come il nenfro e il peperino, le sabbie, le
argille - rintracciate da Vallesi, nel corso di una ricerca
espressiva e 'naturalistica' intrapresa ormai da decenni e
partita alla fine degli anni Settanta, con un percorso iniziato
nel laboratorio tarquiniese di Giovanni Calandrini - formano
nuovi e inusuali impasti, e smalti ceramici che lasciano stupiti
per la loro forza comunicativa, frutto di grande fatica e della
instancabile determinazione di Vallesi, nato a Tarquinia nel
1958, che imprime il suo slancio visionario alle materie prime
ricombinate e plasmate in una seducente arte etrusca
contemporanea.
Correda l'esposizione 'Ciò che si vede è', anche una
installazione in tre blocchi di pietra, collocata a Palazzo
Vitelleschi, sede del museo Archeologico nazionale di Tarquinia,
il secondo giacimento italiano di arte etrusca dopo Valle Giulia
a Roma, grazie all'ospitalità offerta dalla Direzione del Parco
archeologico di Cerveteri e
Tarquinia. Per comporre questa opera litica, Vallesi si è
servito di tre pietre diverse - tufo, nenfro, peperino - nelle
quali ha inserito delle lastre in gres che riproducono gli
intagli che si possono vedere nel museo in alcuni pannelli
scolpiti con bassorilievi, e che probabilmente erano elementi
decorativi collocati all'ingresso di monumenti funebri. Le
lastre, inserite nei blocchi del trittico, sono
state smaltate con lo stesso materiale scavato per ottenere le
cavità dove alloggiano. I frammenti di risulta sono stati
raccolti separatamente, roccia per roccia, setacciati e
macinati, irrorati d'acqua e, quindi, usati per smaltare -
all'insegna dell' eco-riutilizzo artistico degli elementi - e
poi cotti a 1280 gradi centigradi dalla sapienza 'infornatrice'
di Vallesi che si conferma maestro dei forni dal multiforme
ingegno.
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