Le erbe, gli infusi, le tisane, i suffumigi, che tanto spazio terapeutico hanno riconquistato negli ultimi anni, vengono da lontano, dalle guaritrici che nel Medio evo erano considerate streghe. Nell’antichità ci si rivolgeva a loro perché erano medichesse e farmaciste. Possedevano una confidenza istintiva con la natura, erano raccoglitrici, guaritrici, levatrici, e tutti i loro saperi appresi per via femminile venivano trasmessi a loro volta per via matrilineare. Una famosa guaritrice, Clara Botzi, nel 1585 sosteneva di essere in grado di sentire le voci delle erbe nei campi e di coglierne i messaggi e gli insegnamenti più segreti. Le loro cure, molto più vicine alla gente di quanto non fossero, all’epoca, quelle dei medici, erano fatte di aglio, belladonna, alloro, e di tante erbe che ancora oggi sono alla base della farmacopea alternativa, ma non solo.
Di tutto ciò parla Erika Maderna nel bel libro ’Virtù d’erbe e d’incanti. La medicina delle streghe’, edito da Aboca in cui streghe e guaritrici sono avvicinate alle sante. Casi come quello di Giovanna d’Arco dimostrano, infatti ‘’con quale facilità sia stato possibile confondere le due polarità. La santa sublimava la sua fede nel martirio, la strega pagava col supplizio la sua fede rinnegata’’.
I poteri delle guaritrici, dal Medioevo fino al Settecento, continuarono a coincidere con quelli arcaici e divinatori delle maghe mentre, sul piano della pratica medica erano caratterizzati dall’approccio di tipo intuitivo, da empirismo e profonda conoscenza erboristica, nonché da una presenza esclusiva nell’esercizio dell’ostetricia, con i relativi corollari di aborto, contraccezione, legatura e incantesimo erotico. Una sensibilità quasi soprannaturale per la percezione della malattia era il tratto caratteristico di queste donne che avevano ereditato i segreti delle erbe dalle più anziane.
Così come oggi, la medicina empirica si nutriva di contatto fisico e partecipazione umana, risultando più credibile e comprensibile alla gente comune. Non di rado dunque nell’antichità, come ora, i pazienti si rivolgevano alle guaritrici dopo aver sperimentato un insuccesso con la medicina ufficiale. Le donne, inoltre, proponevano terapie dolci, non invasive, non chirurgiche, ed erano infermiere oltre che medichesse. La loro medicina si fronteggiava con quella dei dotti ma in qualche caso alla farmacopea popolare venne riconosciuto un significativo valore complementare.
Il medico e alchimista svizzero Paracelso, ad esempio, sosteneva di aver imparato più dalle guaritrici rustiche e dalle comari che dai libri di Ippocrate e Galeno. La raccolta delle erbe avveniva con rituali quasi liturgici, ad esempio l’iperico, l’artemisia, la ruta, la verbena, il rosmarino come la salvia, la lavanda e il prezzemolo venivano recuperati nella notte di San Giovanni, una notte carica di magia e prodigi. Alla raccolta seguiva la preparazione dei medicamenti, degli unguenti, degli impiastri, dei balsami. Dall’Aconito, o ‘erba del diavolo’, all’alloro, allo stramonio, le proprietà delle erbe utilizzate dalle guaritrici, e in uso ancora oggi nella medicina alternativa, sono raccontate in appendice al libro di Erika Maderna nell’ ‘erbario minimo delle streghe’. Una tra tutte la Belladonna che secondo la tradizione deve il suo nome all’effetto di dilatazione delle pupille provocata dalla diluizione della pianta in acqua e utilizzata come collirio, che veniva sfruttata dalle donne per rendere lo sguardo languido e profondo. Il potere delle erbe non poteva sfuggire al mercato della rete che se ne è appropriata e vende, ad esempio, lo stramonio o la salvia divinorum, come droghe naturali.
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