Sostenibilità da parte delle aziende della moda con la produzione di capi di qualità che possano essere riutilizzati più stagioni. Digitalizzazione dei canali di distribuzione e vendita per contrastare eventuali ricorsi a chiusura dei mercati. Utilizzo del pronto moda, modello di produzione che ha retto meglio ai danni del lockdown imposto dalla pandemia. Sono alcuni degli spunti e delle idee emerse oggi a Tempo di Rinascita - Scenari, Idee, Progettualità, conferenza digitale sulle prospettive e i cambiamenti del settore moda, nell'ambito del ciclo di conferenze digitali ideato dall'agenzia di comunicazione Doc-Com per stimolare il confronto a più voci sul mondo che sta cambiando. Tra i relatori Antonio Franceschini responsabile nazionale CNA Federmoda, Luca De Albertis co-ceo Pix di Data che da gennai ha analizzato 110mila conversazioni sulla moda sul web; Maria Elena Molteni, direttore di Luxury&Finance; Marco Calzolari, titolare e amministratore del gruppo Kaos, azienda parte di Centergross; Claudia D'Angelo, responsabile Archivio Textile Design Fondazione Fashion Research Italy fondata da Alberto Masotti; Lorenzo Delladio ceo de La Sportiva Marco Morosini, ceo di Brandina The Original; Luca Piani ceo di Duvetica.
"L'Italia può permettersi d'indebolire la filiera? - si chiede Antonio Franceschini - I grandi marchi e gli stessi stilisti possono permettersi di perdere anelli della catena? Diversi fattori fanno pensare che se ciò avvenisse, tutto il sistema moda italiano ne risentirebbe: una filiera che perde la sua capacità produttiva e manifatturiera a monte (mantenendo solamente il "cervello", cioè la collezione) alla lunga indebolisce anche la sua capacità creativa; il mercato oggi esprime esigenze di prossimità e richieste di velocità; il servizio è la priorità: il fornitore non offre un prodotto ma una combinazione di prodotto -tempo- vicinanza competenza. Spesso il vantaggio economico della delocalizzazione si è rivelato trascurabile a causa di costi di qualità e logistici; l'impoverimento della filiera - conclude -riverserebbe sulle aziende a valle diversi costi aggiuntivi quali la mancanza di flessibilità, costi di ricerca e sviluppo; e soprattutto, una volta compromessa la filiera a monte sarebbe praticamente impossibile rigenerarle, gli investimenti sarebbero troppo alti e occorrerebbe ricreare ex-novo competenze e professionalità". "Abbiamo visto come una filiera dalla struttura più snella come quella del pronto moda sia riuscita a gestire meglio una situazione terribile come quella del recente lockdown" afferma Marco Calzolari a capo di Kaos spa, azienda specializzata in moda total look su campionario, dal 1980 tra le imprese di punta del Centergross di Bologna, il maggiore distretto a livello internazionale di pronto moda made in Italy: 1 milione di mq di spazio, oltre 40 anni di storia, 600 aziende, 400 delle quali del settore fashion, 6.000 lavoratori per un volume complessivo di affari pari a 5 miliardi di euro l'anno. "La moda veloce - prosegue - che ha meno dispendio di risorse e molta più agilità di movimento e d' investimenti, ha sofferto meno di altri settori di tutta la situazione e ha saputo testimoniare la sua capacità di resilienza, resistenza e di reazione immediata. La moda veloce, può configurarsi quindi come un modello di business alternativo e vincente, per questo è stata presa in esempio nel periodo anche da altri attori internazionali". "Decelerare il ritmo di produzione e maggiore responsabilità d'impresa" sono invocati da Lorenzo Delladio a capo de La Sportiva, azienda leader nella produzione di calzature per l'arrampicata e l'alta montagna della Val di Fiemme. Infine, anche "Lo Stato deve fare la sua parte" è la conclusione di Marco Morosini, ceo di Brandina The Original, azienda di borse e accessori realizzati con il tessuto dei lettini da mare della riviera italiana.
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