La pandemia ha accelerato numerose tendenze in atto, tra queste la conversione di tanti settori verso la sostenibilità. Pensiamo ai trasporti, con il boom della produzione di auto elettriche e ibride, pensiamo alla moda, con la creazione ad esempio di nuovi tessuti da materiali di riciclo. Diversi indicatori evidenziano come c'è, anche sull'onda dei lockdown - il report 2020 di McKinsey ha già dimostrato che il lockdown ha costretto i consumatori in ambito moda a rivedere le loro priorità - un vero e proprio cambiamento di mentalità e del comportamento di acquisto. Si riflette in tanti settori e tali cambiamenti sono destinati a lasciare il segno, ad incidere sul mercato profondamente. In ambito della moda ad esempio non solo siamo diventati generalmente più cauti nello spendere quest'anno, ma anche, almeno tanti di noi, più consapevoli e dunque anche determinati ad acquistare articoli da marchi di moda e rivenditori con forti pratiche etiche e di sostenibilità, veri e propri valori cui crediamo e che vogliamo vengano recepiti dai marchi.
In che modo le politiche sull'ambiente, le condizioni di lavoro e le questioni sociali influenzano i consumatori di oggi? Un report di Trustpilot condotto a livello internazionale in collaborazione con London Research (2800 consumatori, 200 in Italia) ha dimostrato proprio questo: ossia l'orientamento crescente degli acquirenti in brand che si prendono cura dei lavoratori all'interno della loro filiera produttiva e dell'ambiente, una consapevolezza etica che anni fa era giusto nascente e che invece oggi sta dettando le nuove rivoluzionarie regole. E intanto la Copenaghen Fashion Week, il biennale appuntamento con i designer del Nord Europa, ha messo al centro anche nell'edizione dal 2 al 4 febbraio la moda sostenibile proponendo di mostrare in passerella proprio i cambiamenti positivi in atto nella fashion industry, anche di brand come H&M Studio, mentre il colosso Zalando proprio da lì annuncia l'istituzione di un premio. Ulteriori elementi di una direzione: "È importante celebrare i passi avanti compiuti per offrire un'industria della moda più verde e più equa e supportare i consumatori nei loro sforzi per compiere scelte più etiche", ha commentato la modella e attivista green Arizona Muse.
Cinque tendenze chiave che definiranno il futuro dei brand del fashion
1. Quattro clienti su cinque vengono influenzati dalle scelte etiche, tutela dei lavoratori lungo l'intera filiera e rispetto dell'ambiente sono ormai parte integrante delle decisioni di acquisto. Più di quattro consumatori su cinque (esattamente l'82%) hanno dichiarato che smetterebbero sicuramente (il 31%) o probabilmente (il 51%) di acquistare da un brand che si è rivelato essere privo di standard etici.
2. I consumatori sono prudenti nello spendere i propri soldi La recessione innescata dalla pandemia globale sta modificando le abitudini di consumo nel campo della moda. Tre quarti dei consumatori (ossia il 72%) spendono di meno o la stessa cifra rispetto a prima della pandemia. L'abbigliamento casual e per il tempo libero è la categoria è l'unica in aumento di spesa (21%), e questo è legato allo smartworking. Questa percentuale risulta addirittura quasi il doppio, se paragonata a quella di chi acquista abbigliamento formale o articoli di lusso.
3. Gli amanti della moda si fidano delle recensioni e si fidano gli uni degli altri I consumatori sono alla ricerca di brand e negozi di moda con solide strategie etiche e di sostenibilità.
Per capire quali marchi soddisfano questi criteri, attingono notizie da molte fonti, ma è soprattutto gli uni degli altri che si fidano maggiormente - l'89% dei consumatori ha espresso infatti un livello di fiducia alto o medio nel passaparola e l'85% nelle valutazioni e nelle recensioni. La fiducia riposta nel passaparola e nelle recensioni è da due a tre volte superiore rispetto ad altre fonti quali riviste, pubblicità e i siti web dei brand stessi. La fonte di informazioni di cui ci si fida di meno sono le celebrità influencer. La gente infatti tende a fidarsi delle recensioni tre volte di più di quanto non si fidi di un personaggio famoso che pubblicizza un prodotto di moda sui social media.
4. I consumatori sono attenti ai principi etici dei brand e agiscono di conseguenza Secondo quanto emerso dalla ricerca, si tratta di un comportamento già in atto. Più della metà (il 54%) di essi afferma che l'attenzione dei brand verso le condizioni di lavoro e le politiche di sostenibilità, hanno giocato un ruolo fondamentale nello spingerli ad acquistare (o a non acquistare) articoli di moda. Quasi altrettanti consumatori (il 41%) sono stati influenzati dall'attenzione dei retailer alle politiche sulla diversità e l'inclusione, mentre il 33% si è lasciato influenzare dal fatto che un marchio fingesse di essere etico, mentre in realtà non portava avanti alcuna azione veramente efficace ("slacktivism").
5. I brand possono trarre spunto dal desiderio di etica e di sostenibilità dei consumatori I clienti hanno rivelato quello che vogliono vedere dai brand e dai rivenditori di moda. Per il 46% di essi, l'impegno a favore di buone pratiche di lavoro lungo tutta la filiera produttiva e dell'utilizzo di imballaggi ecologici rivestono la medesima massima priorità, seguite da un servizio di riciclaggio, che ha ricevuto il 41% delle preferenze.
PER SAPERNE DI PIU'
Secondo l'analista di moda Olivia Pinnock, che ha creato una serie di eventi chiamati The Fashion Debates (Dibattiti sulla moda), molto più che offerte, promozioni e sconti ora gli shopper desiderano che i brand tutelino l'ambiente e il benessere dei loro dipendenti e dei lavoratori lungo tutta la filiera. Questo indica un significativo cambiamento nelle priorità dei consumatori: "Siamo di fronte a una generazione che è consapevole del fatto che comprare una maglietta per 5 sterline non può essere considerato etico, quando ci sono così tante persone nella filiera di produzione da pagare". Pinnock ritiene che la spinta al cambiamento sia reale e che si basi sull'evoluzione della mentalità dei consumatori. Ci sono però due grandi sfide. "I tagli del fast fashion sui diritti dei lavoratori e sull'ambiente ci hanno abituati tutti all'abbigliamento a buon mercato" — spiega. "Hanno alterato la nostra percezione dei costi. E poi c'è la questione della disponibilità. La stragrande maggioranza dei vestiti, al di fuori di una pandemia, viene acquistata nei negozi e sono solo le grandi catene che offrono prezzi altamente competitivi, a potersi permettere di aprire filiali in ogni città".
I consumatori spendono... ma con cautela
Non sorprende che, nel bel mezzo della pandemia globale da coronavirus, la maggior parte degli intervistati non spenda di più in moda. Al contrario, tende a spendere come prima o addirittura a risparmiare. In media, il 28% dei rispondenti al sondaggio ha affermato di spendere di più Il 25% ha dichiarato di spendere esattamente quanto prima della pandemia, mentre quasi la metà (il 47%) ha rivelato di aver fatto dei tagli. La categoria che si distingue per l'aumento della spesa è quella dell'abbigliamento casual e per il tempo libero (21% dei consumatori), quasi il doppio della percentuale degli intervistati che spende di più per l'abbigliamento di lusso (11%) e decisamente di più della percentuale di consumatori che ha incrementato la propria spesa per l'abbigliamento elegante (13%). In tutti i mercati internazionali presi in esame, coloro che sono stati sottoposti a misure di isolamento e di distanziamento sociale hanno chiaramente dato priorità all'abbigliamento comodo per uso domestico, rispetto alla spesa per l'abbigliamento formale per l'ufficio o ai costosi articoli di lusso per le serate in grande stile. E Il Regno Unito, che si prepara a registrare la peggiore recessione economica di sempre, è in testa alla classifica degli acquirenti più cauti.
Più prudenti... o semplicemente più coscienziosi?
Che i consumatori siano più cauti quando si tratta di spese che riguardano la moda, è un dato ormai chiaro. Il fatto che si tratti di una decisione di natura economica o di una scelta ambientalista si capirà meglio quando la situazione si sarà stabilizzata e la recessione globale causata dalla pandemia si sarà attenuata. La riduzione dei consumi è ciò che Olivia Pinnock definisce "l'elefante nella stanza". Oltre a cercare le etichette del commercio equo e solidale e a esigere l'impegno da parte dei brand a rispettare gli standard etici e ambientali, ritiene che i consumatori moderni si renderanno presto conto di dover acquistare meno vestiti. Si tratta di un messaggio a cui ha fatto eco Laurel Wolfe, VP of Marketing presso la piattaforma di pagamento differito Klarna. "La pandemia ci ha fatto riflettere attentamente su come, dove e perché fare acquisti - che si tratti di acquisti online oppure in negozio o con marchi locali più piccoli", ha affermato. "Per noi, questo ha significato aiutare le persone a essere consumatori responsabili e a fare in modo che comprino oggetti che useranno e apprezzeranno veramente". Abbiamo condotto delle campagne, in particolare con degli influencer, rifacendoci ai consigli sulla gestione del capitale invitando i consumatori a 'porsi tre domande', prima di acquistare un determinato prodotto: È veramente ciò che voglio? Lo userò? Ne vale la pena?" Il messaggio sottolinea come il mercato, nell'essere più attento a come vengono trattati i lavoratori della filiera produttiva e a mitigare l'impatto dell'industria sull'ambiente, si stia evolvendo per ritornare a ciò che era prima dell'avvento del 'fast fashion'.
I consumatori si fidano gli uni degli altri e delle recensioni, non delle celebrità e delle riviste La gente è indubbiamente più cauta nel fare acquisti, data la grande incertezza che grava sull'economia globale. Con i budget ridotti, i consumatori cercano di essere sicuri che gli articoli che acquistano siano adatti a loro. Ma questo non riguarda più l'aspetto, le dimensioni e il prezzo. Come dimostrato dall'inchiesta di Trustpilot , i clienti sono attratti da brand che condividono i loro stessi valori etici e sono gentili con i loro lavoratori e con il pianeta. Con l'etica, la sostenibilità e l'ambientalismo che giocano un ruolo importante nelle decisioni d'acquisto, a chi si possono affidare i consumatori per ottenere consigli su cosa comprare? Qui, la ricerca fornisce una risposta che non lascia spazio a dubbi. I consumatori si fidano gli uni degli altri. Il passaparola di amici e parenti è la fonte più accreditata tra gli shopper, con il 44% che ne che ne attribuisce un livello di fiducia "alto". Seguono le valutazioni e le recensioni dei consumatori (36%). In totale, l'89% dei consumatori attribuisce un alto o medio livello di fiducia al passaparola, mentre l'85%, invece, lo attribuisce alle valutazioni e alle recensioni. Queste due tipologie sono due o tre volte più affidabili di altre fonti di informazioni di alto profilo sulla moda, come riviste, pubblicità e social media. La moda è un settore pieno di noti stilisti, modelle e celebrità che vengono seguiti ogni giorno per quello che indossano. Cio' nonostante, un elemento chiave emerso dalla ricerca è che le celebrità influencer sono poco attendibili come fonte di informazione secondo quasi due consumatori su tre (63%). La ricerca non potrebbe essere più chiara. I consumatori vogliono prendere le giuste decisioni in materia di moda, di vestibilità, di prezzo e di look, ma anche di sostenibilità ed etica. Quando si tratta di prendere tali decisioni, si fidano molto di più dei consigli o dei giudizi degli altri piuttosto che dei social media e della pubblicità, dove i brand pagano cifre esorbitanti per farsi notare.
E l'Italia? I consumatori italiani sono senza dubbio i primi quando si tratta di prendere decisioni d'acquisto basate sulla copertura mediatica dei brand. Più di 3 su 4, infatti, sono stati influenzati da storie circa l'etica dei brand (il 79%) e le condizioni lavorative che questi offrono (il 77%). Ciò, con ogni probabilità, è dovuto al fatto che l'Italia è il primo produttore di abbigliamento in Europa, per cui l'impatto ambientale e le condizioni lavorative sono fattori che toccano più da vicino gli acquirenti italiani.
La fedeltà del cliente dipende dall'etica
Tutti hanno bisogno di vestiti ed è ragionevole affermare che la forza trainante nelle decisioni di acquisto dipenderà dall'abbinamento dei capi con il senso dello stile e del budget delle persone. Tuttavia, all'immagine e al prezzo si aggiunge sempre più spesso un nuovo criterio. I clienti vogliono essere certi che un'azienda condivida i loro stessi valori. Molti di noi desiderano avere la consapevolezza che un business sia gestito in modo etico e che faccia del suo meglio per garantire che le persone che vi lavorano all'interno siano trattate con rispetto e pagate in modo adeguato, senza perdere di vista l'attenzione alla sostenibilità. Uno dei principali risultati di questa ricerca è che più di quattro clienti su cinque (l'82%) smetterebbero "sicuramente" (il 31%) o "probabilmente" (il 51%) di acquistare da un determinato marchio che si è rivelato essere privo di standard etici. Per qualsiasi brand di moda che si stia chiedendo quando il mercato si evolverà fino al punto in cui la cattiva pubblicità sulla propria etica gli farà perdere clienti, la risposta è che ciò sta già accadendo. Sophie Slater, che ha co-fondato l'azienda di moda etica femminile online Birdsong, sottotitolo non causale 'Dress in protest' non è sorpresa dei risultati. I lavoratori dell'azienda di Londra sono pagati secondo il London Living Wage, per produrre capi di abbigliamento in cotone biologico confezionati da un ente di beneficenza che sostiene gli adulti con difficoltà di apprendimento. Proteggere il personale dal Covid-19 ha significato chiudere la produzione, potendo comunque contare sul fatto che i clienti avrebbero accettato dei ritardi nelle consegne, perché la moda etica non è il fast fashion. "Abbiamo visto le aziende del settore della moda parlare di sostenibilità negli ultimi anni, ma nel corso dell'ultimo anno si è sicuramente assistito a un aumento delle persone che tengono la questione etica in forte considerazione", dice. "La gente ha visto in che modo brand molto noti trattano i lavoratori nelle fabbriche di Leicester... per questo il fast fashion ha ricevuto molta cattiva pubblicità. Noi ci affidiamo alla buona stampa e ai social media per far arrivare il nostro messaggio a tutti coloro che hanno a cuore l'inclusione sociale e il trattamento etico dei lavoratori; ecco perché pagheranno un po' di più per i vestiti confezionati da persone che vengono retribuite secondo il London Living Wage.".
Il brand di moda ecosostenibile SANVT (che in tedesco significa "gentile con la natura") sta sperimentando nuovi modi per accrescere la fiducia del suo pubblico. L'Head of marketing e co-fondatore dell'azienda, Benjamin Heyd, rivela che l'azienda si dedica a lavorare con fornitori che utilizzano cotone biologico e non impiegano sostanze chimiche tossiche nel processo di tintura. Per sottolineare questo aspetto, hanno adottato un approccio insolito per quanto riguarda la trasparenza e le promozioni. "Manteniamo basso il nostro impatto ambientale e alti i nostri standard etici utilizzando una fabbrica nell'UE, in Portogallo", afferma. "Offriamo un tour virtuale della fabbrica, per dare alla gente la possibilità di vedere con i propri occhi gli elevati standard a cui ci atteniamo. Inoltre, non offriamo promozioni mirate ad aumentare le vendite, ma solo la possibilità di piantare più alberi all'interno del nostro programma di compensazione delle emissioni di anidride carbonica, ogni volta che le persone acquistano gli articoli pubblicizzati. Non credo che siamo ancora arrivati al punto in cui la sostenibilità sia l'aspetto più determinante nella scelta di un brand, rispetto al design e alla vestibilità dei capi di abbigliamento che questo produce. Tuttavia, si tratta di una prospettiva destinata a diventare realtà nel lungo periodo, e i brand dovranno presto essere in grado di dimostrare ai consumatori di essere eco-friendly ed etici".
Quindi, cosa significa ciò in termini pratici? Quali sono le strategie, gli impegni e i servizi che i consumatori di oggi si augurano di vedere di più in futuro da parte dei marchi di moda e dei negozianti? Potendo indicare tre aspetti in grado di provare che un'azienda porta avanti azioni concrete e non fa soltanto chiacchiere, che cosa scelgono? In cima alla classifica, per quasi la metà degli intervistati, troviamo pari merito l'impegno a garantire buone condizioni di lavoro lungo tutta la filiera produttiva e il packaging ecosostenibile (entrambi al 46%). Segue il servizio di riciclaggio al terzo posto (41%), mentre al quarto e al quinto si posizionano gli abiti realizzati con materiali riciclati (38%) e le iniziative volte a ridurre le emissioni di anidride carbonica (36%).
Per il marchio di abbigliamento maschile The Savile Row Company, non è una grande sorpresa che l'imballaggio ecologico sia in cima alla lista, insieme all'etica. La Marketing Director, Lee-Anne Harris, rivela che l'azienda ha sostituito i sacchetti di plastica con sacchetti biodegradabili fatti con la fecola delle patate, e ha rimpiazzato le tradizionali clip di plastica che tengono fermi i colletti e le spalline delle camicie con dei fermagli realizzati in carta. "Non abbiamo preventivamente chiesto ai clienti cosa ne pensassero di questa iniziativa; per noi è stata una scelta naturale, perché è così che intendiamo il futuro, ed eravamo abbastanza sicuri che anche i nostri clienti la pensassero allo stesso modo. Bisognerebbe chiedersi piuttosto: perché no? È il minimo che si possa fare". Al di là delle recensioni positive, la Harris conferma che l'imballaggio riciclabile è una caratteristica che i clienti apprezzano, ma che non richiedono ancora come standard. Tuttavia, ritiene che sia solo una questione di tempo prima che i clienti "pretendano dalle aziende di moda di rendere conto dell'enorme quantità di rifiuti in plastica che producono".
"Come parte di Positively FARFETCH, abbiamo un'ampia collezione di articoli Conscious che i clienti possono acquistare, utilizzando sia i filtri, sia le nostre modifiche personalizzate, per assicurarsi di ottenere articoli che soddisfino buoni standard di sostenibilità e di certificazioni indipendenti", dice Thomas Berry, direttore del Sustainable Business del rivenditore online di moda di lusso FARFETCH. "Abbiamo anche due offerte di servizi che aiutano i nostri clienti a prolungare la vita dei capi e degli articoli inutilizzati. Second Life è un servizio di rivendita, attraverso il quale i clienti presentano un prodotto vecchio e ottengono un preventivo sul suo valore; successivamente organizziamo il ritiro e, una volta verificato l'articolo, il prezzo quotato viene aggiunto come credito al loro conto.Facciamo lo stesso con il nostro servizio Donate, attraverso il quale i clienti hanno la possibilità di riempire una borsa con qualsiasi articolo di moda che non desiderano più; gli articoli vengono poi venduti e parte dei proventi devoluti in favore degli enti di beneficenza scelti dai clienti stessi, mentre a loro viene riconosciuto il valore di un terzo del ricavato, sotto forma di credito. In entrambi i casi qualcun altro può godersi gli articoli rivenduti, mentre a tutti viene data la possibilità di fare la propria parte nell'aiutare l'ambiente, riducendo il consumo complessivo di articoli nuovi di fabbrica". La prova che i clienti adesso vogliono fare acquisti più etici e sostenibili, secondo Berry, risiede nel fatto che le vendite della gamma Conscious stanno crescendo a una velocità significativamente maggiore rispetto al resto delle transazioni che hanno luogo sul sito. Inoltre, in tutto il settore, prevede che le vendite di abiti nuovi cresceranno al massimo del 3%, mentre quelle degli abiti usati aumenteranno tra il 15% e il 30%.
In America ci sono ulteriori evidenze, un'onda lunga di quello che è accaduto nel 2020. I consumatori americani sono molto più avanti rispetto a quelli europei per quanto riguarda i valori che vogliono rivedere nei marchi e nei rivenditori di moda che non sono stati inseriti nella lista dei principali cinque qui sopra. Tra questi vi sono la collaborazione con enti di beneficenza (35%), l'offerta di gamme di prodotti inclusivi (27%), la garanzia del rispetto della diversità nella pubblicità (26%) e la presa di posizione sulle questioni sociali (24%). Questi numeri, si legge nel report, sono molto probabilmente il risultato della profonda riflessione che gli americani stanno portando avanti recentemente, nell'anno in cui il movimento Black Lives Matter (BLM) ha guadagnato un'enorme forza trainante sia a livello nazionale che globale. Il sostegno ai brand che prendono posizione su questioni sociali quali il BLM, è più del doppio negli Stati Uniti rispetto a tutti gli altri Paesi presi in esame, ad eccezione dell'Italia.
In conclusione
Probabilmente, gli elementi dominanti nel mondo della moda saranno sempre il look, il feeling, il design e il prezzo di un articolo. È però sempre più diffusa la consapevolezza di dover fare una cernita tra i brand e i rivenditori di questo settore, sulla base di ciò che fanno (o non fanno) in materia di sostenibilità e di etica. Questa 'nuova' tendenza in realtà c'è sempre stata, anche se non è mai venuta fuori in maniera così evidente; la pandemia globale sembra però aver spinto i consumatori a fare un bilancio di ciò che è veramente importante e a valorizzare quei marchi che si dimostrano sensibili nei confronti dei lavoratori e dell'ambiente. Una ricerca coordinata dall'Università di Cardiff ha rilevato, per esempio, che la percentuale di inglesi che ritengono urgente affrontare il cambiamento climatico è passata dal 62% al 74% tra l'agosto 2019 e l'agosto 2020. Inoltre, quasi la metà della popolazione del Regno Unito (il 47%) ha promesso di volare meno di prima, una volta che le restrizioni saranno abolite. Negli Stati Uniti, le notizie riportate dai media hanno messo in evidenza come l'inquinamento dell'aria sia diminuito del 30%, in conseguenza del fatto che molti hanno smesso di guidare ogni giorno per raggiungere il proprio posto di lavoro.
Questi temi dovrebbero riscuotere un certo interesse tra i brand e i rivenditori di moda, dato che quattro consumatori su cinque si sono dichiarati disposti a non acquistare i prodotti di un marchio che manca di valori etici e di sostenibilità. Inoltre, la metà dei consumatori ha già rivelato di essersi tenuta alla larga da aziende del settore moda che hanno ricevuto dai media una cattiva pubblicità a causa della loro negligenza nei confronti dei loro lavoratori e del pianeta. I consumatori si sono espressi chiaramente. Ciò che vogliono sono brand che:
· trattino i lavoratori in modo equo lungo tutta la loro filiera produttiva
· producano abiti senza danneggiare l'ambiente
· usino imballaggi riciclabili
· offrano programmi di riciclo mirati a estendere la vita dei capi di abbigliamento
· si impegnino in iniziative mirate alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica
· operino secondo valori aziendali trasparenti
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