Tanto riservato nella vita quanto esplosivo in scena, Rami Malek, 37 enne californiano figlio di immigrati egiziani, sembra vicino a vincere alla sua prima nomination, l'Oscar come miglior attore protagonista, per la sua camaleontica prova nei panni di Freddie Mercury in Bohemian Rhapsody, diventato il biopic di maggior successo di tutti i tempi, con oltre 820 milioni di dollari di incasso nel mondo. Gli ostacoli maggiori alla sua vittoria sono due: le nuove accuse piombate sul regista del film (licenziato verso fine lavorazione, anche per i frequenti scontri con Malek) Bryan Singer di abusi su minore, e un altro grande attore 'camaleonte' Christian Bale, tornato in corsa nel ruolo dell'ex vicepresidente Usa Dick Cheney nel satirico Vice.
Partono sulla carta, meno favoriti (anche se l'Academy di quando in quando ama riservare grandi sorprese), gli altri tre attori che completano la cinquina: Willem Dafoe, che offre una delle migliori interpretazioni della sua carriera in Van Gogh - Sulle soglie dell'eternità; Viggo Mortensen, brusco e generoso buttafuori nella storia vera di Green Book, e Bradley Cooper in gara con l'unico personaggio di fantasia del gruppo, il country rocker in declino Jackson Maine, del suo debutto alla regia, A star is born.
Da 20enne, Rami Malek aveva anche brevemente pensato di rinunciare al sogno di diventare attore per ripiegare sulla carriera più sicura di agente immobiliare. Sono intervenute varie scritture in tv, a ridare coraggio a questo talentuoso interprete che dopo un decennio in ruoli di contorno da Una mamma per amica alla trilogia Una notte al museo, è diventato una star del piccolo schermo con il geniale e instabile hacker nella serie Mr robot e ora anche al cinema, con Bohemian Rhapsody. Una sfida quella di dare volto a Freddie Mercury a cui Malek, che per la sua performance ha già vinto il Golden Globe come miglior attore in un film drammatico e lo Screen Actors Guild, si è dedicato con un'attenzione certosina: "Ho visto tutto il materiale d'archivio che sono riuscito a trovare - ha spiegato a Screen Daily - Ho guardato a lui come un dio del rock, un'icona per tutti noi. Ha fatto tutto quello che voleva sul palco. Anche solo catturare quell'aspetto di lui sarebbe stata una sfida. L'unico modo per riuscirci era avere tempo".
Mamma artista circense, papà pilota, un'infanzia vissuta girando per il mondo, due nazionalità, quella britannica e quella Usa: bagagli che hanno contribuito ad arricchire la prospettiva di Christian Bale, che come il suo idolo,Gary Oldman, si fonde ogni volta con il ruolo che interpreta. Una capacità di trasformazione anche fisica che l'ha portato stavolta a ingrassare 18 chili e a sottoporsi a 6 diversi stadi di trucco per diventare un perfetto Dick Cheney in Vice di Adam McKay. Già vincitore di un Oscar per The Fighter nel 2011, arriva alla sua quarta nomination dando vita all'ambiguo e senza scrupoli uomo d'affari e politico, senza giudicarlo. Anche se scherzando, ai Golden Globe, dove ha vinto per Vice come miglior attore di commedia, Bale ha ringraziato anche Satana "per avermi dato l'ispirazione per il ruolo".
Non stupisce che il poliglotta (parla almeno sette lingue), attore, poeta, musicista, Viggo Mortensen, newyorchese di origini danesi, sia riuscito ad incarnare in Green Book di Peter Farrelly, in modo straordinario, tanto nel linguaggio verbale che gestuale un italo americano, come Tony Vallelonga, detto Tony Lip, buttafuori irruento ma generoso del Bronx, che nel 1962 accompagnò come autoista e risolviguai un virtuoso afroamericano del pianoforte, Don Shirley (Mahershala Ali), in un tour negli Stati Usa del sud, ancora profondamente razzisti. Un'emozionante storia vera scritta dal figlio di Vallelonga (seppure con qualche contestazione da parte della famiglia di Shirley) che porta a Mortensen la sua terza nomination, dopo quelle per La promessa dell'assassino e Captain fantastic: "Green Book non è una lezione forzata – ha spiegato l'attore - è una bella storia condivisa del passato che può aiutarci a capire il presente".
Grazie a una versatilità senza limiti, mostrata passando fra i generi e alternando con sapienza film indie in giro per il mondo, blockbuster, e ogni tipo di personaggio, da Gesù a Thomas Eliot, da Pasolini a Green Goblin in Spider-man, Willem Dafoe, classe 1955, meriterebbe la consacrazione dell'Oscar. Però anche quest'anno sembra difficile arrivi ( è alla quarta nomination), nonostante in Van Gogh - Sulla soglia dell'eternità di Julian Schnabel, offra un ritratto potente e struggente del grande pittore olandese. "Amo la perfezione, l'apprezzo - ha spiegato a The Guardian l'attore, sposato alla regista italiana Giada Colagrande -. Ma riesco meglio nel cercare di trovare qualcosa, che nel partire da ciò che so, per eseguirlo e spiegarlo. Penso sia la differenza tra un artigiano e un artista. Io aspiro a essere un artista".
Come la sua protagonista, Lady Gaga, anche Bradley Cooper ha superato molti scetticismi mettendosi alla prova come regista e interprete della nuova versione di A star is born. Nominato anche come produttore e sceneggiatore del film, torna in gara tra gli attori protagonisti (dov'era già stato in corsa con Il lato positivo e American Sniper mentre era stato nominato fra i non protagonisti per American Hustle) grazie alla performance nei panni del country rocker tormentato Jackson Maine. Un ruolo per cui ha preso anche per sei mesi lezioni di chitarra, piano e composizione, da Lukas Nelson, figlio della leggenda del country Willie Nelson.
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