Riefenstahl, Fuori Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, è un film documentario che prova, con un enorme materiale d'archivio di 50mila fotografie, a smontare la tesi che la stessa regista tedesca Leni Riefenstahl ha costruito per una vita nel dopoguerra, ossia di non essere affatto coinvolta nel nazismo e di non avere alcuna responsabilità di regime. Diretto da Andres Veiel è una sorta di spy story in cui la leggendaria donna (leggendaria per la vita che ha fatto e per il solo fatto di essere una donna regista in quegli anni) è praticamente pedinata, messa all'angolo in tutti i modi per costringerla a fare i conti con un passato che però implacabile la segue come un'ombra.
Dopo la sconfitta della Germania nella seconda guerra mondiale, Riefenstahl provò a ricostruire la sua carriera descrivendosi come un'artista apolitica e che aveva fatto film come quelli passati alla storia sulle Olimpiadi di Berlino del 1936 come commissioni, incarichi da Hitler che stimava ricambiata o dai suoi ministri e non perchè fosse essa stessa parte di quella cerchia. Film che raccontano il congresso del partito nazista del 1934 in Il trionfo della volontà o celebrano i giochi olimpici del 1936 con Hitler quasi semidio in Olympia. Nel film, che vede anche la partecipazione Rai Cinema nella produzione, Veiel si butta a capofitto negli archivi della regista gestiti dalla Prussian Cultural Heritage Foundation di Berlino.
"Riefenstahl - morta nel 2003 a ben 101 anni, ndr - ha cercato per tutta la sua ultima parte di vita di ripulire gli archivi da materiali scomodi che contraddicevano la sua narrazione pubblica di artista distante da Hitler, ma nonostante ciò sono rimasti degli indizi. C'è ad esempio una frase che avrebbe detto molto prima della guerra al quotidiano britannico Daily Express in cui durante le riprese di The Blue Light nel 1931 sarebbe caduta innamorata di Hitler sin dalle prima pagine del Mein Kampf, diventando una entusiasta nazionalsocialista. Ebbene - ha detto oggi in un incontro stampa Veiel - Leni si è sbarazzata del ritaglio stampa, ma noi lo abbiamo rintracciato dalla fonte originale".
In tutto il film si vede una anziana ma battagliera Riefenstahl scattare per difendere la sua onorabilità di artista, negando ad esempio di aver usato come comparse rom destinati ai forni nazisti o di aver mai espresso sentimenti razzisti sugli ebrei.
O peggio ancora un film sull'Olocausto da lei stessa distrutto.
E' incalzata durante interviste televisive concesse nel dopoguerra ma lei non crolla mai e anzi conserva le registrazioni delle telefonate che riceve in suo sostegno, una vittima insomma che però il pubblico continua ad ammaliare. "Era una manipolatrice - hanno detto oggi Veiel e la produttrice Sandra Maischberger che a gennaio daranno alle stampe un libro sulla loro indagine - creatrice di fake news". Secondo il regista un personaggio come Riefenstahl evoca direttamente "le parate russe di Putin o le frasi di Trump con i migranti che succhiano sangue agli americani". Lei al contrario fino a poco prima di morire, con le esperienze in Sudan nelle tribù indigene e poi con un film sportivo di imprese sottomarine, ha sostenuto di essere stata guidata per tutta la vita dal mito della perfezione estetica, dalla bellezza e dalla natura.
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