Una grande donna sola, piena di coraggio contro la dittatura brasiliana, interpretata da una grande attrice e scrittrice, Fernanda Torres. Si potrebbe sintetizzare così 'Io sono ancora qui' di Walter Salles, film in sala dal 30 gennaio con la Bim già in concorso a Venezia '81 (miglior sceneggiatura), in corsa agli Oscar per il Brasile e con Torres fresca vincitrice ai Golden Globes come miglior attrice (correva con Angelina Jolie, Nicole Kidman, Pamela Anderson, Tilda Swinton e Kate Winslet).
Chi interpreta Fernanda Torres? È Eunice Pavia, una madre di cinque figli la cui vita venne sconvolta nel 1971 da un atto di violenza arbitraria, l'inaspettato arresto del marito, Rubens Paiva, ex deputato laburista, e dalla sua successiva sparizione.
"Quando Salles mi ha chiamato per interpretare questo ruolo - ha spiegato a Roma l'attrice in un buon italiano (la sua famiglia è di origine sarda) - ho sentito subito come una missione dover interpretare questo personaggio di donna onesta con cinque figli che affronta una tragedia e non si lamenta mai. Ho trascorso un anno nella sua pelle e mi ha insegnato molto di come si debba stare attenti a tutto".
E ancora Torres: "Come si fa a dire a cinque figli che il padre è stato ucciso, torturato? Eunice è sicuramente un'eroina imperfetta, che non piange mai e così alla fine quasi costringe lo spettatore a doverlo fare al posto suo".
Il film ci porta nel 1971, in un Brasile stretto nella morsa della dittatura militare. Dopo l'arresto di Rubens Pavia verranno prelevate dalla polizia anche la moglie e la loro figlia più grande che saranno torturate e messe in prigione per cinque giorni. Una volta liberata, Eunice è costretta a reinventarsi: non ha più denaro, i conti del marito sono bloccati. Così decide di ricominciare tutto daccapo trasferendosi a San Paolo dove torna ad insegnare.
"Quando ho letto per la prima volta il libro di Marcelo Rubens Paiva, figlio di Eunice, da cui è tratto il film, mi sono commosso profondamente - ha detto Salles -. Per la prima volta, la storia dei desaparecidos, persone strappate alle loro vite dalla dittatura brasiliana, veniva raccontata dalla prospettiva di chi era rimasto. Nell'esperienza di una sola donna c'era la ferita di un'intera nazione".
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