(di Alessandra Magliaro)
(ANSA) - In Gran Bretagna hanno dato un nome alla sindrome: 'nomofobia' dove nomo sta per no mobile, ma senza arrivare alla cura nel centro di recupero, il panico da no campo è certamente una delle 'malattie' in ascesa degli ultimi anni. E questo terrore di non essere raggiungibili sul telefonino riguarda per metà delle vittime i minorenni. Sempre a controllare il telefono, scambiano messaggi whatsapp o viber, commentano su istagram le foto. E se per i ragazzi il no campo è da crisi isterica acuta, per gli adulti è ugualmente motivo di ansia. Alla connessione non sappiamo rinunciare perchè ormai per smartphone e tablet abbiamo chi più chi meno sviluppato vera e propria dipendenza. Il controllo delle mail è controllo su noi stessi, su quanto siamo capaci di gestire il lavoro e la vita sociale, non guardarle per alcune ore un lusso che crediamo di non poterci permettere, non ricevere una risposta alla mail ci fa perdere la tranquillità. E' uno stakanovismo senza orari la nostra perenne rintracciabilità arrivando al paradosso che nessuno ce la impone ma ce la comandiamo noi stessi per sentirci alla pari con gli altri addicted come noi. Nel momento stesso in cui pensiamo che la connessione equivale alla partecipazione 'social' alla vita perdiamo di vista la stessa quotidianità dell'esistenza e persino dello sguardo come Paolo Mottana, docente di Filosofia dell’educazione presso l’Università di Milano-Bicocca, ha scritto di recente su comune-info.net, parlando di ''occhi ingoiati da quei prodigiosi apparecchi, potentissimi strumenti di alienazione terminale dello sguardo. Ovunque non si incontrano più sguardi ma corpi immersi nel flusso microscopico e magnetizzante dei loro cellulari''.
I milanesi risultano essere i più “drogati” di i-Phone:
secondo quanto emerge da uno studio condotto dalla catena di hotel di lusso Boscolo Hotels, in collaborazione con l’Associazione “Donne e Qualità della vita”, su un panel di 2000 utenti, uomini e donne, di età compresa tra i 15 e i 60 anni (100 per capoluogo regionale), intercettati su social network, forum, community, interrogati sulla “febbre da cellulare”. Al nord la dipendenza da i-Phone sembra essere più seria rispetto al Sud, per motivi economici e lavorativi: il 52% degli utenti i-Phone addicted è infatti rappresentato da imprenditori stakanovisti, mentre l’altra grande fetta è costituita dai giovani tra i 17 e i 25 anni. Si stima in media che i milanesi passino fino anche a 2 ore al giorno attaccati allo smartphone, seguiti dai torinesi, con un’ora e quaranta circa di connessione, seguiti a stretto giro dai fiorentini con un’ora e mezza. Chiudono la classifica i capoluoghi del Sud: L’Aquila, con quaranta minuti totali al giorno, Catanzaro (35), ultimi i molisani, con una media di mezz’ora al giorno di connettività a Campobasso.
E secondo un recente studio realizzato da Ericsson, nel 2014 la mania da smartphone in Italia risulta in netta crescita: due terzi degli italiani hanno almeno uno smartphone in casa, contro il 49% dello scorso anno, i cellulari normali scendono al 30%. Rispetto al 2013, aumenta il numero di persone che ogni giorno accede a servizi in mobilità, ad esempio instant messaging (34% degli utenti mobili nel 2014, contro il 20% nel 2013) e social network (31% contro 21%). Qui di seguito la classifica completa degli utenti i-Phone addicted nei capoluoghi d’Italia: Ma quali sono le attività che tengono incollati allo smartphone? Per cosa viene usato? Al primo posto per lavoro (76%) soprattutto per scaricare la posta dell’ufficio ed essere sempre multitasking, seguono i messaggi sui social e Whatsapp (65%), le applicazioni e giochi (35%), ma c’è anche un buon 32% che lo usa per orientarsi con le mappe nella città , al posto dell’orologio (30%), per mobile shopping (26%) e operazioni di banking (24%). Dove si usa di più il cellulare? In primis sui mezzi (82%), in coda, durante le attese (75%), in vacanza (70%) , a casa (63%), agli aperitivi (52%) e da ultimo, in ufficio (40%).
E alla domanda se non avesse più smartphone cosa succederebbe? L’85% del campione risponde di sentirsi più solo, di lavorare meno (62%), di avere una vera e propria crisi di astinenza (45%) con continui attacchi di panico, irascibilità, disorientamento (28%). Solo un 6% dichiara di non essere dipendente.
C'è chi, come la psicologa Serenella Salamoni, ha attivato il servizio di digital detox, presso il lussuoso hotel milanese. Quando si arriva in albergo, si abbandona lo smartphone in una cassetta di sicurezza, dalla quale viene prelevato e acceso solo due volte al giorno, ad orari fissi. I colloqui con lo psicologo sono due: uno al mattino dopo il caffè e il giornale (momento di picco della crisi da tecnologia) e un secondo alla sera e avvengono in una camera di disintossicazione da iper tecnologia, dove le pareti sono schermate e non è possibile accedere a internet.
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