E' una vita 'a distanza', un metro, meglio anche ben di più, quella che l'emergenza coronavirus ci sta imponendo in questi giorni. E proprio quella misura, simbolica per definire quanto poco sociali dobbiamo essere in questo periodo per cercare di contenere la diffusione del virus, ci resterà impressa quando tutto questo sarà passato. La distanza, l'asocialità, la mancanza forzata di contatti saranno le cose che più di altre ci segneranno oltre probilmente ad una recessione economica che ci farà ripensare alle nostre priorità. Dunque le strette di mano sono vietate, gli abbracci anche, figuriamoci i baci. Stabilire che un abbraccio fa male quando invece in tempi normali è un toccasana, è la cosa più incredibile di questo tempo falsato e costretto dal covid 19. Eppure è cosi: distanti per un po’, uniti per il Paese. Come ha detto il premier Giuseppe Conte il 10 marzo annunciando la 'chiusura' stringente per tutti gli esercizi 'non necessari' "Rimaniamo distanti oggi per abbracciarci con più calore e correre più veloci domani".
E' il nostro stile di vita a cambiare: responsabilità e solidarietà. Pur con tutte le eccezioni negative che purtroppo si verificano, la tendenza ad essere responsabili è ciò che sta accadendo: dopo gli scetticismi iniziali abbiamo capito che è anche alla responsabilità di ciascuno evitare che il virus contagi ancora di più . Se vogliamo aiutare i nostri medici e i nostri eroi che lottano contro il coronavirus, bisogna "limitare al massimo le opportunità di contagio", responsabilmente. E dunque le strade si sono svuotate, le persone devono rinunciare ad uscire se non in casi necessari, abbiamo accettato che le comunicazioni avvengano a distanza. Sacrifici purtroppo necessari e di cui con responsabilità (e anche decreti governativi) ci facciamo carico.
Il ciao ciao con la mano profumata di alcol è il gesto di confidenza al momento più popolare, meglio se via FaceTime o Skype. Non incontriamo persone, ma chattiamo con loro, non andiamo in chiesa ma ci colleghiamo su Facebook, non andiamo al lavoro ma facciamo lo smart working, non vediamo i parenti ma li videochiamiamo anche se abitano nella nostra città. Una socialità ristretta e condizionata ma sulla quale pesa la nostra responsabilità. Se ci pensiamo è in fondo un piccolo sacrificio sulle nostre abitudini e comodità. Che potrebbe farci ripensare a tante cose, apprezzare la vita più lenta, dedicando tempo alla lettura, alle passioni accantonate dalla routine, alle attività come la meditazione che ci scaricano dalle angosce.
Ecco dunque che alla tendenza ad essere responsabili c'è anche quella ad essere solidali. In un condominio romano e qualche giorno dopo in uno di Torino è apparso un cartello; siamo le ragazze del quarto piano possiamo portarvi la spesa a casa, gratis. il messaggio, agli anziani, del palazzo è lo stesso magari detto a voce e dunque non intercettato dai media che in tantissimi stanno dicendo in questi giorni per mettersi a disposizione per fare la spesa a chi è meglio che non esca, che siano i genitori o i parenti anziani ma questo è ovvio oppure semplici conoscenti. Questo non vale solo per chi ci abita magari solo la porta accanto ma per le tante persone fragili e in difficoltà che conosciamo e che magari vivono delle piccole donazioni: ora che non gira più nessuno, che le persone stanno a casa, è il momento della solidarietà anche con chi è povero. E’ il momento di aiutarci collettivamente, di riscoprire il valore della vicinanza e della solidarietà rispondendo responsabilmente con senso civico: non dimenticarsi di chi fa più fatica, di chi ha più difficoltà, dall’aiuto nei compiti all’acquisto dei farmaci e per aiutare in generale chi è in difficoltà per l'emergenza coronavirus e non lasciare indietro nessuno. Siamo tutti di fatto un po' più isolato e chi accuserà di più il colpo sarà proprio chi è già solo, malato, anziano o in una situazione di difficoltà. E dunque essere solidali è anche avere segni di attenzione: di questi tempi una telefonata vale come un abbraccio.
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