Lavorando da casa, oltre una professionista su due (59,1%) ha avuto la sensazione di aver avuto carichi di più pesanti rispetto alle giornate in ufficio. Il dato cresce di 7 punti, arrivando ai due terzi del campione, se si considerano le lavoratrici con figli. Non è il lavoro da casa, cresciuto a dismisura con il lockdow, la misura che sostiene davvero la carriera professionale di una donna e che soprattutto le evita di dover scegliere tra lavoro e figli. Anzi. A dirlo sono state le partecipanti alla ricerca di Wyser, società internazionale di Gi Group, condotta in occasione dell’anniversario del Soffitto di Cristallo.
Secondo l’84,1% delle professioniste è infatti la flessibilità oraria la chiave e queste settimane di lockdown lo hanno dimostrato. “Il lavoro da casa, da remoto, e lo smart working sono due cose distinte – afferma Marinella Sartori, Direttore Commerciale di Wyser Italia –. Il telelavoro implica semplicemente il mancato spostamento dalla propria abitazione al posto di lavoro, di fatto, gestendo le attività dal proprio studio tra le mura domestiche, per chi può contare su una stanza dedicata. Si rispettano i ritmi e gli orari delle giornate in ufficio e in sostanza la differenza è data dalla location. Lo smart working invece è qualcosa di molto diverso, che implica una certa elasticità e un drastico cambiamento a livello di filosofia stessa del lavoro: le giornate non sono più scandite dagli orari, ma dagli obiettivi. Pertanto, vengono date flessibilità, autonomia e responsabilità ai professionisti, che gestiscono il loro tempo in autonomia e hanno come unico vincolo il rispetto delle scadenze e delle consegne, oltre alle inevitabili teleconferenze di allineamento. Si tratta di una pratica che richiede una vera e propria rivoluzione nella cultura del lavoro e delle organizzazioni in Italia, dove una logica del controllo è ancora diffusa. Quello che la maggior parte delle italiane e degli italiani ha praticato nelle ultime settimane e sta continuando a praticare è semplice lavoro da remoto, non smart working. E le conseguenze su chi di consueto ha in mano la gestione della vita domestica e la cura dei figli sono state piuttosto evidenti e pesanti, come emerge anche dalla nostra ricerca”.
Casa e lavoro, insieme, in un unico ambiente. Detta così, può sembrare un vero e proprio incubo: il 59,1% delle intervistate è riuscita a tenere separate la sfera privata e quella lavorativa, ma farlo non è stato affatto semplice. Fondamentale è stato adattare un ambiente domestico a ufficio, separandosi dagli altri componenti della famiglia (40,9%) e condividere con il/la partner le faccende e le commissioni (29,5%). Hanno invece incontrato maggiori difficoltà le intervistate che non hanno avuto la possibilità di avere degli spazi dedicati al lavoro (13,6%) e quelle che psicologicamente non riuscivano a staccare dall’attività lavorativa (15,9%). Per fare davvero lo scatto servono altre misure: flessibilità, asili nido, vero smart working basato sulla fiducia e l'autonomia.
Lavorare da casa per un periodo prolungato ha fatto anche emergere i vantaggi e i plus dell’attività sul posto di lavoro. Una partecipante alla survey di Wyser su due (50%) ha sentito la mancanza del confronto tra colleghi, il momento di brainstorming dal quale spesso nascono le idee più brillanti, ma a mancare rispetto a una normale routine lavorativa sono stati anche la possibilità di tenere separate la sfera lavorativa e quella privata (36,4%) e le occasioni di networking e di incontro con i clienti (29,5%). Per circa una su quattro (18,2%) le attività durante il tragitto casa-lavoro, come la lettura o l’ascolto di un podcast. La ricerca evidenzia però anche una fiducia verso il futuro. Come per molte piccole e medie imprese il lockdown è servito a spingere sull’acceleratore della digitalizzazione, così allo stesso modo anche le professioniste e le lavoratrici nutrono la speranza che questo periodo di telelavoro sia servito per sensibilizzare il mondo del lavoro e per spingerlo ad abbracciare reali misure di supporto. Secondo il 43,2% delle intervistate, questo periodo potrà avere risvolti positivi in tal senso a livello nazionale, mentre per il 36,4% a livello della singola azienda. Si dice meno speranzosa solo una su quattro (20,5%).
Al contempo però questa emergenza sanitaria rischia di cancellare diritti e opportunità per la popolazione femminile, come riporta anche il Rapporto Onu di questi giorni. A ciò si aggiunge il famoso e non ancora abbattuto Soffitto di Cristallo che le intervistate da Wyser associano principalmente all’assenza delle donne nelle posizioni decisionali (27,3%), a stereotipi e pregiudizi che ancora oggi popolano i luoghi lavoro (25%), a una scarsa meritocrazia (20,5%) e al gender pay gap (13,6%). “A ostacolare la carriera delle donne verso posizioni di comando e di responsabilità non sarebbe soltanto il soffitto di cristallo: gli ostacoli cominciano proprio con il primo gradino del percorso lavorativo stesso – conclude Marinella Sartori -. A dimostrarlo è stato il recente report Women in the Workplace 2019 realizzato da McKinsey e Lean In. Esiste infatti un vero e proprio collo di bottiglia all’ingresso del C-Suite, il ruolo dirigenziale, che impedisce alle donne di avanzare sul lavoro: per ogni 100 uomini, solo 72 donne vengono promosse al primo livello da manager (58 black woman, 68 se hispaniche). La maggior parte resta bloccata in ruoli entry-level. Soltanto riparando questo “gradino rotto” si potrà pensare di raggiungere la parità ai livelli più elevati. Anche in questo caso, come per lo smart working, è necessario un cambiamento radicale a livello culturale. Nonostante la situazione sembri apparentemente migliorare anno dopo anno, ancora oggi viviamo ancorati a un immaginario nel quale a fare carriera deve essere l’uomo. Ma sappiamo molto bene che non è così”.
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