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Dallo 0,8% ai potenziali 8 milioni di smart worker così il Covid ha cambiato la geografia del lavoro

Dallo 0,8% ai potenziali 8 milioni di smart worker così il Covid ha cambiato la geografia del lavoro

Dati Eurostat, 8 lavoratori su 10 erano in ufficio, 800mila ore il tempo per gli spostamenti 'risparmiato'

30 settembre 2020, 14:34

di Marianna Berti ++

ANSACheck

strade percorse da lavoratori foto iStock. - RIPRODUZIONE RISERVATA

strade percorse da lavoratori foto iStock. - RIPRODUZIONE RISERVATA
strade percorse da lavoratori foto iStock. - RIPRODUZIONE RISERVATA

Prima del Covid lavorava di default da casa appena lo 0,8% del totale degli occupati. A conti fatti meno di 200 mila teste. Funzionava così in Italia nel 2019, come certifica l'Istat in un Report messo a punto insieme all'ufficio statistico europeo, Eurostat. La stragrande maggioranza, otto lavoratori su dieci, prestavano servizio nei locali e negli uffici messi a disposizione dall'azienda o dall'ente. C'è poi chi trovava sede presso clienti e fornitori. Ma compariva anche una quota non trascurabile, circa il 7%, che un luogo fisso di lavoro non lo aveva. Cosa che accadeva soprattutto tra gli stranieri e le persone con un titolo di studio più basso.
Ora a quanti, pochi, avevano la propria abitazione come postazione "principale", si affiancava un'altra quota, seppure residuale, di lavoratori per cui la casa era il piano B o che comunque si erano trovati a sperimentare nel corso dell'anno, sempre del 2019 stiamo parlando, un'attività da remoto. Ma sommando tutto non si supera 1,3 milioni.
La pandemia ha cambiato le carte in tavola. Le stime dell'Istituto indicano una platea di potenziali smart worker che può arrivare fino a 8,2 milioni. Un bacino massimo ma che non si riduce poi di tanto, attestandosi a circa 7 milioni, pur volendo escludere la categoria degli insegnanti.
L'Istat osserva come il ricorso al lavoro agile durante l'emergenza non sia solo risultato "determinante per preservare i livelli occupazionali" ma anche per "limitare la mobilità quotidiana, soprattutto nelle aree urbane". Un fattore che l'Istituto invita a non sottovalutare: "far lavorare a distanza anche solo i lavoratori che svolgono un'attività telelavorabile e impiegano più di un'ora per recarsi al lavoro, significherebbe diminuire di circa 800mila ore il tempo speso negli spostamenti e l'inquinamento a esso associato per ogni giorno di smart working".
Tornando a come si presentava l'organizzazione del lavoro nel 2019, la rilevazione mette in luce come per più di sette su dieci gli orari di inizio e fine attività erano rigidi, specie per donne, giovani e contratti a termine. Una percentuale più alta rispetto alla media Ue (61%). Sul fronte 'disconnessione', il 54% degli intervistati nell'ambito dell'indagine ha dichiarato di non essere mai stato disturbato. Insomma prima del Coronavirus il confine tra il lavoro e tutto il resto c'era. Il lockdown ha rivoluzionato questa geografia e ora probabilmente c'e da ricomporre i pezzi. 

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