Durante il lockdown oltre sei milioni e mezzo di italiani hanno lavorato in smart working, a fine dell'emergenza Covid solo una parte di questi tornerà a lavorare come prima. La maggior parte, più di 5 milioni, non tornerà indietro. E' la fotografia scattata dall'Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, che in una ricerca ha messo in luce le difficoltà tecnologiche e la gestione del carico di lavoro ma anche il bilanciamento con le esigenze di vita del lavoro agile, facendo superare pregiudizi e pensare ad una nuova normalità. Nella fase più acuta del coronavirus ci sono stati 6,58 milioni di smart worker d'emergenza (2,11 milioni nelle grandi imprese, 1,85 milioni nella Pubblica Amministrazione, 1,13 milioni nelle Piccole e medie imprese, 1,5 milioni nelle microimprese), circa un terzo dei lavoratori dipendenti italiani, oltre dieci volte più dei 570mila censiti nel 2019. A settembre - calcola lo studio - con i rientri a macchia di leopardo gli smart worker sono scesi a 5,06 milioni. Ma il lavoro da remoto - spiega l'Osservatorio - è ormai entrato nella quotidianità degli italiani ed è destinato a rimanerci: al termine dell'emergenza Covid si stima che quelli che almeno in parte lavoreranno da casa saranno 5,35 milioni. E il 70% delle grandi imprese aumenterà le giornate di lavoro da remoto portandole in media da uno a 2,7 giorni a settimana, mentre una su due modificherà gli spazi fisici. Lo studio mette però in luce come lo smart working abbia rivelato la fragilità tecnologica delle imprese, anche quelle più grandi. Il 69% di queste, ad esempio, ha dovuto aumentare la disponibilità di pc portatili e altri strumenti hardware. Il 38% ha dato ai lavoratori la possibilità di utilizzare i dispositivi personali. Tre quarti delle amministrazioni pubbliche, poi, hanno incoraggiato i dipendenti a usare dispositivi personali a causa delle limitazioni di spesa e dell'arretratezza tecnologia. Il 43% non ha integrato la dotazione personale dei dipendenti. Tra gli elementi negativi, il fatto che si sia fatto molto telelavoro e poco smart working: il 29% dei lavoratori ha incontrato difficoltà a separare il tempo del lavoro e quello privato e a mantenere un equilibrio fra i due aspetti (28%), oltre a sperimentare una sensazione di isolamento nei confronti dell'organizzazione nel suo insieme (29%). Tra gli aspetti positivi, nelle grandi imprese il miglioramento delle competenze digitali dei dipendenti (71%) e il ripensamento ai processi aziendali (59%). "L'emergenza Covid19 ha accelerato una trasformazione del modello di organizzazione del lavoro che in tempi normali avrebbe richiesto anni - dice Mariano Corso, Responsabile scientifico dell'Osservatorio Smart Working - Ora è necessario ripensare il lavoro per non disperdere l'esperienza di questi mesi e per passare al vero e proprio smart working che deve prevedere maggiore flessibilità e autonomia nella scelta di luogo e orario di lavoro, elementi fondamentali a spingere una maggiore responsabilizzazione sui risultati".
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