È passato un anno dall’inizio della pandemia, l’avvenimento che ha stravolto le vite di tutti noi. Abbiamo dovuto fare i conti con qualcosa di nuovo, imprevisto e non ci siamo ancora abituati. Manteniamo le distanze, indossiamo le mascherine, aspettiamo il giorno in cui vaccinandoci tutti il Covid sarà sconfitto ma mentalmente ammettiamolo siamo in difficoltà a fare programmi per il futuro. La famosa 'nuova normalità' dopo lo shock del lockdown duro, si sta rivelando non meno pesante per la psiche, non ci sono canzoni e battimani dai balconi a farci sentire parte di unica narrazione ma piuttosto vedendo la povertà che sempre più ci circonda vediamo tutte le disuguglianze sociali che il Coronavirus ha fatto esplodere. E alla lunga sono proprio i giovani, quelli che all'inizio avevano reagito meglio forse, a provare la crisi più grande.
Francesco Piccolo ha scritto su Repubblica un articolo da incorniciare e sottoscrivere, su Tutte le prime volte perdute, riuscendo a rappresentare l'inquietudine, il male sottile che sta facendo la pandemia ai ragazzi in dad, in did, in presenza a giorni alterni e così via, spiegando il senso profondo dell'irrepetitibilità dei giorni perduti. "Le scuole non sono soltanto dei contenitori di esseri umani molto giovani, di quantità di ormoni scattanti, e di compiti, interrogazioni e spiegazioni. Ma sono dei contenitori di esperienze e di emozioni che prescindono dal programma scolastico. La didattica a distanza è svegliarsi a casa, fare lezione a casa, e non dover tornare a casa perché ci sei già. La scuola è uscire, vestirsi con quel maglione perché quella della 3C ti ha detto che è di un bel colore, inzupparsi sotto la pioggia, saltare giù di corsa alla fermata, sentire chiarissimo l’odore della primavera, oppure correre nel gelo e pensare che il futuro è tuo. È tornare a casa affamati, farlo insieme a un amico facendo progetti per la sera, o guardando gli altri che si divertono e tu che torni da solo. Perché non manca solo la felicità, l’euforia, la sensazione di avercela fatta a stare nel mondo; ma manca anche la solitudine. La irripetibilità dei giorni e degli anni di scuola sta nel fatto che pensi che il mondo sia quello, che qualsiasi persona non vada più a scuola sia decrepita e non ha più senso che stia al mondo. Gli anni della scuola son belli perché fai progetti per dopo, ma in fondo pensi che la vita non avrà un dopo, è tutta lì, e quell’esame di maturità che farai tra otto anni, sei mesi, cinque anni, due settimane, in realtà non accadrà, e se accadrà il tempo poi si fermerà appena sarai seduto davanti alla commissione. Se si contano le primevoltità a scuola, di ognuno, ne verrebbe fuori un elenco così lungo che sfinirebbe. A scuola accadono tante cose che non riguardano la scuola. Il primo bacio fuori scuola, la prima volta che ti hanno lasciato sulla panchina del cortile, il primo invito a una festa, il primo bigliettino passato da un banco all’altro, diventare un eroe per aver risposto male al prof, innamorarsi della lezione di un altro prof, nascondere qualcosa in bagno, le chiacchiere sugli scalini pensando non voglio tornare a casa mai più, quei brividi di freddo dell’inizio influenza e qualcuno che viene a prenderti, dire a un compagno se vuole venire a studiare da te e lui dice non posso e poi va da un altro, il dolore che non se ne va per un sacco di tempo e il corpo che impara a sopportarlo, e impara anche a capire che il dolore passerà, che quando la compagna di banco bellissima ti dice no, poi passerà, come passa il 3 al compito di matematica e tu prometti che recuperi — e insomma impari che puoi recuperare, c’è il tempo per recuperare tutto, e non puoi impararlo al tavolo della cucina di casa su zoom, ma solo andando e tornando da scuola, andando e tornando. Ti perdi molte cose se per un anno non vai a scuola se non qualche volta — ti perdi perfino la capacità di formare la corazza.
Ed è proprio questo che emerge con forza da un'indagine svolta tra i professionisti di Guidapsicologi.it che lanciano l'allarme sui giovani ma in generale sugli italiani mettendo in luce tendenze poco rassicuranti sulla salute mentale: a preoccupare sono sia i dati relativi all’intensificarsi di alcune patologie durante l’ultimo anno, sia l’aumento di richieste da parte di giovani, coppie e famiglie, che si muovono sempre di più in una condizione di precarietà economica e psicologica, con conseguenti crisi personali e relazionali.
Un cambiamento riguarda l’aumento delle richieste di terapia online, + 60%, come forse è ovvio, ma oltre ad un cambio di modalità, viene registrato anche un importante cambio a livello di età media dei pazienti. Secondo il 34% degli psicologi infatti, l’età media di coloro che si rivolgono a un professionista in cerca di supporto è in netto calo, mettendo in luce il disagio che coinvolge i più giovani.
Da sempre sottoposti a una situazione di precarietà, esposti a continue incertezze dal punto di vista lavorativo e con enormi ostacoli nella possibilità di pianificare il proprio futuro, i millennials sono tra le generazioni più colpite dalle conseguenze a livello psicologico di questa pandemia. Anche i centennials seguono le orme della generazione che li precede, poiché vedono compromessa in modo importante la propria formazione e il loro ingresso nel mondo del lavoro. Ma non è solo la mancanza di prospettive a determinare l’amplificarsi di disagi diffusi. Secondo il 92% degli esperti, una forte aggravante è data dalla mancanza di relazioni reali con i propri coetanei, che ha contribuito ampiamente a generare o accentuare alcune patologie. Al primo posto tra i disturbi che colpiscono i più giovani troviamo ansia e depressione (+47%), seguiti da disturbi alimentari (+18%), ludopatia (+8%) e dipendenza da droga e alcol (+8%).
Il 2020 rappresenta uno spartiacque nella vita di tutti noi, e gli psicologi hanno potuto osservarne l’impatto a livello mentale, il che implica un lavoro in continuo divenire. Ansia e depressione, problemi di coppia (24%) e problemi alimentari (11%) sono in percentuale le difficoltà più frequenti.
La convivenza forzata ha messo a dura prova anche le relazioni più solide, portando con sé discussioni e situazioni faticose. Il 51% degli psicologi ha registrato dall’inizio della pandemia un aumento delle richieste per terapia di coppia. Anche per quanto riguarda le richieste di terapia familiare, vi è una forte tendenza all’aumento (+20%), in parte perché lo stare insieme in modo continuativo ha permesso di vedere problematiche che prima si ignoravano, in parte perché questa condizione di condivisione continua ha creato attriti finora inesistenti, e infine perché la situazione globale pesa sempre di più sul singolo individuo, e, di conseguenza, nel suo relazionarsi con gli altri. Infine per gli psicologi i social network e le nuove tecnologie, se usati in modo sconsiderato sia in termini quantitativi che qualitativi, si trasformano in amplificatori di disagi della psiche, registrando aumenti di ansia e depressione oltre a ludopatia (11%), complice il gioco online, disturbi alimentari (10%), attraverso il bombardamento di immagini di corpi perfetti o presunti tali, e problemi di coppia (6%), fomentati da applicazioni e chat di incontri clandestini.
E non è tutto, parlando di scuola si sta evidenziando come le preoccupazioni iniziali, le previsioni, sugli abbandoni stanno purtroppo avendo conferme nella realtà. "In Italia già prima della pandemia avevamo un tasso di dispersione scolastica superiore al 13% - dice la Comunità di Sant’Egidio, al termine di un’inchiesta svolta in ventitré città di dodici regioni coinvolgendo 2.800 bambini che frequentano 80 doposcuola - Da quando è stata introdotta la dad, nel rischio dispersione non rientrano solo di bambini svantaggiati: “la gravità dei dati raccolti non riguarda solo situazioni estreme, ma ci riguarda tutti”, tanto che “il risultato è che circa un minore su quattro è considerato a rischio dispersione. Stiamo parlando del 25% come dato su base nazionale che diventa uno su 3 al sud Italia, dove la situazione è molto più grave”. Tra le proposte della Comunità di Sant’Egidio figura quella di “istituire la figura dello “School facilitator”, anche solo in modalità straordinaria, non permanente, legata all’eccezionalità del momento, che siano delle figure di intermediazione tra la scuola e la società per evitare che i bambini si perdano”. Ma anche di “rendere obbligatoria, come misura di lungo periodo, la scuola dell’infanzia dai 3 ai 6 anni, come avviene in Francia e che si è rivelata una misura con un impatto enorme sull’educazione e la crescita dei bambini”. L'Anief, che è l'associazione nazionale e sindacale del mondo dell'istruione dice d’accordo sulla richiesta dell’anticipo scolastico a tre anni, perché favorirebbe, oltre che lo sviluppo psicologico e formativo del bambino, anche la cultura verso la didattica: una coscienza che non c’è in molti casi e che è alla base dall’addio ai banchi ogni anno di 50 mila alunni. La pandemia ha acuito la dispersione scolastica, a partire dalle periferie urbane e dai territori difficili e deprivati culturalmente: la conferma ulteriore arriva dalla Comunità di Sant’Egidio che ha realizzata un’inchiesta nell’ambito del progetto Valori in Circolo, sul contrasto della povertà educativa minorile, a partire dal lavoro di sostegno scolastico che si svolge nei centri pomeridiani gestiti dalla Comunità conosciuti come “Scuole della Pace”. Proprio nelle realtà periferiche dei grandi centri, ha detto il dottor Stefano Orlando, che ha curato l’inchiesta, “ci siamo resi conto che la pandemia stava avendo un effetto piuttosto preoccupante sui bambini. Un dato su cui riflettere è che “nelle scuole che per motivi di emergenza, ad esempio per casi di positività, hanno adottato la didattica a distanza, circa la metà dei bambini hanno avuto delle difficoltà a seguire le lezioni. Questa soluzione, quindi, ha sostenuto solo la metà dei bambini mentre l’altra metà è rimasta esclusa”.
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