Si parla molto di nomadismo. Lo spunto è il film di Chloe Zhao che ha fatto la storia agli Oscar, Nomadland, su una sessantenne sola che viaggia per l'America a bordo del suo van, condividendo una parte del suo percorso di vita con la comunità nomade americana, grandi spazi, solitudine, solidarietà, problemi, un modo di stare al mondo diverso da come siamo abituati noi ma allo stesso tempo in un certo senso attuale perchè tutto nasce da una crisi economica, lavorativa e dalla precarietà lavorativa. C'è poi il nomadismo digitale. Anche questi termini molto in voga. Fino a poco tempo fa la possibilità di essere nomade digitale veniva associata a uno stile di vita romanzato, fatto di avventure “zaino in spalla” e di poco tempo dedicato al lavoro. Un’immagine stereotipata insomma che vedeva nel cosiddetto Nomadismo Digitale una realtà per pochi, per lo più giovani Millennials desiderosi di fuggire dal quotidiano, preferendo il divertimento. Ma è davvero così? Alberto Mattei, fondatore del progetto e della community Nomadi Digitali, sollecitato da Wiko, chiarisce il fenomeno e i numerosi stereotipi diffusi intorno a questo nuovo stile di vita e di lavoro.
Oggi solo in Europa più di 100 milioni di dipendenti sono passati al lavoro a distanza, con quasi 45 milioni che hanno fatto questo cambiamento per la prima volta. Sebbene il 2020 possa essere considerato l’anno del lavoro da remoto, questa tendenza è destinata a crescere esponenzialmente nei prossimi anni. Entro il 2025, si stima infatti che il 70% della forza lavoro lavorerà da remoto almeno cinque giorni al mese. Lavorare da remoto significa libertà di svolgere il proprio lavoro da qualsiasi luogo, senza avere più legami con un ufficio o una sede fissa di lavoro. A patto di avere la strumentazione giusta, una buona connessione alla rete, tanta motivazione e una grande autodisciplina! Questo cambiamento culturale e tecnologico ha permesso alle persone di fantasticare e poi scegliere nuove e inedite postazioni di lavoro. C’è chi ha optato per quelle vista mare, chi invece ha deciso di aumentare la produttività e la creatività con un ufficio nel bosco e chi, ancora, ha scelto di crearsi un’abitazione e una postazione di lavoro mobile all’interno di camper e furgoni attrezzati, la cosiddetta 'vanlife' proprio come quella della protagonista di Nomadland Francesc McDormand.
Il Nomadismo Digitale è un vero e proprio “modus vivendi”. Per dirla con le parole di Mattei, “un movimento globale di professionisti, desiderosi di vivere nuove esperienze, di scoprire nuove destinazioni e di conoscere nuovi territori ricchi di cultura e tradizioni, ma al tempo stesso di lavorare e fare impresa in luoghi dove si può vivere meglio, dove i ritmi sono rallentati e dove c’è un rapporto più intimo con la natura.” Tutto ciò a vantaggio di competenze, creatività e soft skills. Con la pandemia questo fenomeno ha subìto un’accelerazione radicale ed è stato facile dimostrare come il lavoro da remoto, lo smart working (e lo smart living) siano una possibilità concreta per tutti. Internet, le tecnologie digitali, in primis quelle mobile come lo smartphone, in questo senso diventano uno strumento per permettere a chiunque di seguire le proprie aspirazioni ed esigenze personali senza sacrificare la crescita lavorativa. Wiko e Alberto Mattei sfatano, quindi, i 5 falsi miti più comuni sul Nomadismo Digitale:
· Si fa la “bella vita”: tutto divertimento e zero produttività
Il nomadismo digitale non è assolutamente una soluzione per trasformare la fatica del lavoro in spasso e avventura, bensì un modo per lavorare da remoto senza vincoli di spazio, scegliendo il luogo migliore da cui lavorare, anche in base al momento di vita che si sta attraversando. Questo si traduce in un miglioramento della qualità della vita delle persone e offre alle aziende l’opportunità di accedere ai migliori talenti ovunque siano. Oggi sono molte le realtà lavorative che stanno adottando modelli organizzativi più flessibili ed è già iniziata la sfida per capire come attrarre i nuovi professionisti digitali senza ufficio nè badge.
· È una scelta per giovani
Non è assolutamente vero che questo fenomeno coinvolge esclusivamente gli under 30. Per molti infatti potrebbe essere una sorpresa sapere che la maggior parte dei professionisti nomadi digitali sono più adulti, non vivono costantemente in giro per il mondo con uno zaino sulle spalle, non sono solo single e non sono necessariamente freelance. Sicuramente agli occhi dei giovani, il nomadismo rappresenta una realtà più fattibile, soprattutto in relazione alla necessità di saper cogliere nuove opportunità ovunque si trovino. Le nuove generazioni, infatti, sono meno disposte a sacrificare la loro vita per le necessità aziendali. Vogliono viaggiare, conoscere altri paesi e culture e mettere a frutto la propria creatività e il proprio talento per uno scopo, per fare qualcosa che abbia un impatto significativo sulla loro vita e quella di altre persone. Presto la distinzione tra lavoro e viaggio potrebbe quindi non esistere più.
· Occorre essere geek e possedere strumenti hi-tech di alto livello
Nelle competenze digitali rientra un universo infinito di abilità tecnologiche, che spaziano da quelle di base fino a quelle più specifiche e più evolute come lo sviluppo software, la robotica, l’intelligenza artificiale, ecc. Sicuramente chi sceglie di lavorare da remoto e vivere da nomade digitale, in base al lavoro che svolge, deve possedere delle abilità nell’utilizzo delle tecnologie dell’informazione, della comunicazione e degli strumenti di collaborazione. Tuttavia, scegliere di utilizzare tecnologie di alto livello o premium non è un prerequisito essenziale. Più importante, piuttosto, scegliere strumenti affidabili, con autonomie long lasting, per evitare spiacevoli inconvenienti e compromettere il proprio lavoro e produttività.
· Serve essere benestanti per poterselo permettere
No, assolutamente. La verità è che ci sono tantissimi modi diversi di essere, di lavorare e di vivere da Nomade Digitale. Ognuno può e deve scegliere quello più adatto alle proprie esigenze. Il Nomadismo Digitale non è infatti un “modus operandi”, ma piuttosto un “modus vivendi”, ovvero un modo totalmente nuovo di intendere la propria vita e il proprio lavoro, che ci offre anche la possibilità di scegliere paesi, luoghi o città dove il costo è molto più basso e la qualità della vita migliore.
· Per alcune categorie di persone non è possibile essere Nomadi Digitali
Come ogni scelta nella vita, anche quella di vivere e lavorare da Nomade Digitale richiede delle rinunce e dei compromessi. Gli ostacoli sicuramente possono essere maggiori o minori in base alla condizione di partenza, ma non esiste un profilo univoco. Questo neologismo non descrive una specifica categoria professionale, un target ben definito di persone e nemmeno un loro preciso modus operandi: molti hanno scelto di muoversi per lavorare in luoghi che li rendano più felici, magari lontani dagli affollati centri urbani; altri hanno deciso di voler riscoprire la bellezza e il valore del tempo vissuto più lentamente; altri ancora hanno un lavoro che li porta a viaggiare per il mondo. Essere Nomade Digitale significa, quindi, scegliere uno stile di vita che permette di essere liberi di vivere e lavorare ovunque scegliamo di farlo, senza incasellarsi per forza in dei modelli precostituiti.
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