Si parla molto di parità di generi nelle aziende, il tema è di stretta attualità e così come altri parametri, a cominciare da inclusione, pratiche sostenibili, benessere aziendale, diversità, tutto contribuisce a differenziare le società e a costruire la cosiddetta 'reputation', banalmente la reputazione, un fattore che sempre più sarà trainante anche dal punto di vista economico, marcando differenze sul mercato. Nel Recovery Plan, il Il Piano nazionale di ripresa e resilienza, si richiede proprio la certificazione per la parita' di genere in azienda.
Ma come si misura la Gender Equality? Esiste da qualche tempo un processo di certificazione oggettivo, misurabile, che analizza dati forniti dalle aziende, li va a verificare e li valida con una società di revisione. I parametri precisamente quali sono? Ne abbiamo parlato con Enrico Gambardella, presidente del Winning Women Institute, che si occupa proprio di questo. "Sono 4 le aree di analisi - dice all'ANSA - 1) le opportunità di crescita in azienda 2) l’equità remunerativa 3) le policy per la gestione della Gender Diversity 4) le policy per la tutela della genitorialità. Oltre 25 parametri poi vengono ponderati con una metodologia garantita dal Comitato Scientifico. Nelle aziende che avete avvicinato che situazione è stata trovata? Quanto erano distanti dal raggiungimento della parità? Quali le maggiori criticità? "Abbiamo incontrato tantissime società e già questo è un segnale importante. La situazione è sicuramente eterogenea con aziende estremamente virtuose e con altre molto lontane da una possibile certificazione. Le maggiori criticità sono sempre nelle aree più difficili da modificare e da cambiare: la presenza di donne nelle posizioni con maggiore responsabilità (quadri, dirigenti e Ceo) e il gender pay gap che in alcuni casi arriva al 30%. Aggiungerei che se la mancanza di donne ai vertici aziendali è…visibile, non altrettanto le aziende hanno consapevolezza del gender pay gap. Alla domanda: “Qual è il vostro gender pay gap?“ quasi nessuno sa rispondere".
Da quanto esistono queste certificazioni in Italia e quante aziende al momento in Italia? "Winning Women Institute esiste da circa 4 anni e ad oggi ha certificato 15 aziende - Cameo, Grenke, Alés Groupe, Biogen, Allianz Partners, Amgen, Sanofi, Sas, Ipsen, Humana, BNP Paribas Cardif e Carter & Benson -. Altre aziende sono nella fase di “miglioramento” e prevediamo di averne altrettante per fine 2021. Dobbiamo sottolineare che la Certificazione è il risultato da raggiungere, ma il processo (che inizia con un pre-audit) dà una mappa molto precisa all’Azienda dei suoi punti di forza e delle aree di miglioramento identificando un percorso ben preciso". Rispetto al resto d'Europa e altri paesi a che punto siamo? "Siamo molto indietro. Come Paese lanciamo iniziative ma non le implementiamo. Spesso prevale la politica dell’annuncio. Le aziende poi trattano il tema parità di genere solo da un punto di vista etico (e sicuramente lo è) tralasciando i vantaggi competitivi che la gender diversity produce e dando poca attenzione al “rischio reputation” che sarà un tema sempre più importante. Lo vediamo dal fatto che alcune aziende certificate stanno iniziando a usare il “bollino gender” anche per parlare ai consumatori finali, traendone ottimi risultati. Un campanello di allarme per chi non può certificarsi". Infine, può esistere il “genderwashing”? "Siamo nati con l’idea di “combatterlo”. Eravamo (e siamo) un po' stufi di tanto parlare ma di pochi progressi. Siamo pieni di aziende che si auto-dichiarano attente e sensibili al tema della gender equality magari perché lanciano qualche iniziativa sporadica e di “marketing”. La domanda che noi facciamo è semplice: la tua azienda può o non può Certificarsi? Tutto il resto è (un po') gender washing".
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