Il 28 aprile si celebra il “Girls in ICT Day”, giornata mondiale promossa dalle Nazioni Unite per sensibilizzare sul tema del gender gap lavorativo tra uomini e donne nei settori tecnologici. Un divario tutt’oggi considerevole che non accenna a diminuire nel corso degli anni: secondo gli ultimi dati Eurostat l’Italia è quintultima per percentuale di donne impiegate nei settori ICT con il 16% e solo Polonia (15%), Ungheria (12%), Malta (11%) e Repubblica Ceca (10%) fanno peggio. Al contrario di quanto si possa pensare i paesi più virtuosi in questa speciale classifica sono Bulgaria (28%), Grecia (26%) e Romania (sempre 26%): Francia e Spagna si attestano poco sopra la media europea (19%) con il 20% mentre la Germania non arriva al 18%. Ma non è tutto perché a questo s’aggiunge un rilevante gender pay gap: secondo il Women in Digital Scoreboard 2021 divulgato dalla Commissione Europea, in Italia, a parità di mansione, un uomo guadagna il 16% in più di una donna. Non sono tanto migliori le percentuali in Europa: come accennato solo il 19% degli specialisti che lavorano nell’ICT sono donne e circa un terzo dei laureati nelle discipline STEM (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica) sono ragazze.
In Europa il gender pay gap raggiunge addirittura il 19% e, secondo un calcolo effettuato dal network internazionale WomenTech, ci vorrebbero quasi 134 anni per arrivare ad una situazione di parità di trattamento economico.
Il tema è tanto più importante quanto si tratta di professioni emergenti. La sottorappresentazione delle donne non è certo un buon segnale per il futuro. Nel cloud computing, ad esempio, solo il 12% dei professionisti è donna. Nei ruoli legati all’ingegneria, come analisi dei dati e intelligenza artificiale, i numeri sono rispettivamente del 15% e del 26%. Da qui la mobilitazione in numerosi atenei italiani - Torino, Milano, Palermo, Roma - delle 'Coding Girls' della Fondazione Mondo Digitale per promuovere le materie Stem per le donne.
E pensare che la storia era invece iniziata nel migliore dei modi. Il primo programmatore della storia dei computer è stata una donna: nel 1843 Ada Lovelace fu la prima persona a sviluppare un algoritmo espressamente pensato per essere elaborato da una macchina analitica in grado di generare i numeri di Bernoulli. Dopo oltre 170 anni il rapporto lavorativo tra donne e tecnologia non ha seguito la strada tracciata dalla matematica britannica.
In Italia alcune realtà provano ad invertire la rotta come Primeur Group, multinazionale italiana leader della data integration: “Dal 2021 abbiamo assunto più di 50 profili di cui il 40% sono donne: vogliamo ridurre il gender gap e diventare un esempio per il settore”, spiega Maria Letizia Manfredi, HR Director
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