Nel 2015, all’anagrafe ancora con il nome di Luca Bianco, Cloe era un insegnante tecnico all’istituto di Agraria di San Donà di Piave. Un giorno entrò in classe vestita in abiti femminili, mostrandosi ai suoi allievi per come veramente si sentiva. “Cari ragazzi da oggi mi chiamerete Cloe” aveva esordito. Si era presentata in minigonna, unghie laccate, caschetto biondo-cenere , ombretto alle palpebre, facendo sobbalzare gli studenti non preparati a questo cambiamento. Genitori in rivolta, sospensione dal lavoro, demansionamento, e l'inizio di una esistenza di sofferenza per l'ex docente transgender che il 10 giugno si è suicidata. Questo evento tragico ha fatto discutere, e già non passare inosservato di questi tempi fa notizia. Siamo nel mese del Pride, quello dell'orgoglio della comunità omosessuale ora diventata ben più ampia sotto la sigla LGBTQIA+ , e la morte di Cloe Bianco, una storia di ordinaria transfobia fa oltremodo riflettere.
Secondo il libro bianco di Dentsu Italia, c'è stato un incremento di insulti omofobi in rete del 25%. E già i numeri erano altissimi di loro. Ogni mese, in Italia, vengono infatti pubblicati online 5.300 contenuti con insulti omofobi. Parole d'odio a commento su news, blog, forum e social media. Le persone LGBTQIA+, ma anche gli etero di riflesso, vivono quotidianamente immersi , sui social e molto spesso anche dal vivo, in un mondo di hate speach, insulti gratuiti e di etichette stereotipate. Sono solo parole ma chiudere gli occhi di fronte alla potenza che il linguaggio ha nel suggestionarci e nel definire di rimando che tipo di immagine abbiamo di noi stessi è sottovalutare il problema.
Certo a monte c'è un tema anche legislativo: l'Italia è uno dei pochi Paesi che non si è conformato a quanto chiesto dall'Europa in materia di tutela dei diritti delle persone transgender. Secondo Porpora Marcasciano, attivista, scrittrice e presidentessa del MIT, Movimento identità Trans, nel nostro Paese esistono almeno 400.000 persone che hanno affrontato o stanno affrontando una transizion, ma non è solo di transgender che stiamo parlando ma di tutta una comunità variamente omosessuale, non binaria, con varianza di genere. Da un punto di vista culturale ci sono dei cambiamenti: le giovani generazioni, quelle per le quali spesso usiamo il termine gender fluid, sono molto più aperte, inclusive, rispetto all'identità di genere sono diverse da tutte quelle che le hanno precedute.
Il problema grande semmai è proprio delle generazioni meno giovani, portate culturalmente agli stereotipi su argomenti come questo.
Le battaglie per l'accettazione delle persone al di là del sesso e delle tendenze sessuali sono cominciate nel secolo scorso e il mese del Pride sta proprio lì a ricordarcelo evocando i moti di Stonewall, i riots nel bar gay del village di New York il 28 giugno 1969 quando la polizia irruppe nel locale. La strada è ancora tanto lunga ma non riguarda solo la comunità omosessuale ma un più generale tema di inclusione. Numerose sono le associazioni che fanno rete dal citato Mit ad Arcigay, da Famiglie Arcobaleno ad Arcilesbica, a Gay Help Line per citarne alcune.
La moda quasi sempre apripista da anni in questo mese lancia collezioni Pride, un rainbow washing (campagne di marketing gay friendly) molto criticato.
Eppure anche una maglia arcobaleno lanciata appositamente a giugno può comunicare socialmente qualcosa. Specie se, novità di quest'anno, quasi tutti gli stilisti da Versace con Cher, da H&M a Rihanna, hanno dichiarato di destinare migliaia di dollari alle associazioni che concretamente fanno rete, come The Trevor Project la più grande organizzazione no-profit al mondo dedicata alla fornitura di servizi di assistenza e prevenzione del suicidio alla comunità LGBTQIA+ e Gender Spectrum.
Il tema, lo abbiamo sottolineato, è come sempre culturale. C'è un elemento piccolo ma significativo di svolta: è stata lanciata una Collezione Pride delle bambole Bratz, ispirata alle due fidanzate Bratz Roxxi e Nevra. E' una pioneristica collezione – la prima coppia omosessuale di fashion doll e con relativa capsule collection arcobaleno – creata in collaborazione con Jimmy Paul, lo stilista LGBTQ famoso in tutto il mondo e fondatore della rinomata e omonima linea di abbigliamento di base ad Amsterdam. Anche qui si impegnano a donare 25.000 dollari al “The Trevor Project", ma l'idea che i bambini e le bambine possano giocare con due bambole fidanzate è qualcosa che ci spinge a sperare in un futuro accogliente.
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