Digital detox, disconnessione sono le parole delle vacanze, quelle che ogni anno auspichiamo per staccare finalmente la spina e prendere tempo per altro, per noi stessi, per il relax, per un dolce far niente rigenerante anche se a volte ne abbiamo paura al punto di soffrire di oziofobia. La novità è che questa disconnessione in fondo la vogliamo sempre anche ora che le attività sono riprese e siamo tornati alla routine abituale. La quantità di informazioni che riceviamo da ogni dove e principalmente attraverso lo smartphone è mostruosa, eccessiva e così piano piano più o meno consapevolmente abbiamo imparato a selezionare, ad attivare la cosiddetta disconnessione selettiva.
Facciamo una selezione cercando di distinguere le notizie false, fake, pilotate, smarcandoci da quelle spudoratamente di propaganda - e in questi tempi di pre-elezioni abbondano - ma soprattutto stando alla larga sempre di più dalle cattive notizie. No bad news. Siamo codardi? Forse, certamente abbiamo messo in atto un meccanismo di autodifesa perchè aprire un giornale, guardare un notiziario alla tv, leggere l'ansa e i siti di notizie è, diciamolo, angosciante. Fatti di cronaca e non solo, una specie di gara al rialzo alla tragedia e allora in cuor nostro non ne vogliamo sapere. Ci sentiamo in colpa forse a non essere informati ma sta diventando un modo per tutelare la nostra salute mentale.
E' un effetto collaterale del Covid che ci ha ultrasensibilizzati al tema del dolore? Forse. Il rischio 'assuefazione' che era dietro l'angolo in molte tematiche cruciali, dagli sbarchi dei migranti alla guerra in Ucraina è purtroppo una realtà con cui fare i conti. E allora che si fa? Niente, non vogliamo saperne di cattive notizie, dateci solo quelle buone, le scoperte scientifiche, gli avanzamenti tecnologici, fateci sognare un futuro mondo meraviglioso con le ricerche prestigiose, fateci applaudire i campioni del nuoto, fateci commuovere con le storie che finiscono bene. Forse per questo Ben Affleck e Jennifer Lopez si stanno sposando da un mese, così con tutte quelle cerimonie e tutti quei party ci distraiamo un po'. E' ironia questa ma il tema c'è e infatti a disconnetterci più o meno volutamente non siamo solo noi.
A leggere il report di Reuters Institute, il Digital New Reports 2022 , dove c'è una analisi approfondita di tutto il sistema a cominciare dal boom delle notizie visive su TikTok e Instagram, social che ormai sono anche fonte di informazione per un pubblico giovane o giovane adulto, questo della disconnessione selettiva è un fenomeno mondiale, con picchi in America dove 4 americani su 10 vogliono volutamente essere disinformati sulle cattive nozitie. Ma al di là delle percentuali è un trend da raccontare, pensando che dentro un po' ci siamo tutti, persino chi è il mio caso lavora nell'informazione. Gli argomenti che sono considerati in generale e dai media in particolare più importanti come le crisi politiche, i conflitti internazionali, le pandemie globali e le catastrofi climatiche, sembrano essere proprio quelli che stanno allontanando alcune persone dalle notizie, soprattutto tra coloro che sono più giovani o più difficili da raggiungere. Si legge nel report che la percentuale di consumatori di notizie che afferma di evitare le notizie, spesso o talvolta, è aumentata notevolmente in tutti i paesi. Questo tipo di evitamento selettivo, questo schivare il peggio, è raddoppiato sia in Brasile (54%) che nel Regno Unito (46%) negli ultimi cinque anni, in Italia intorno al 35%, con molti intervistati che affermano che le notizie hanno un effetto negativo sul loro umore. Troppa politica e Covid 19 rappresenta in tutto il mondo con il 43% uno dei motivi principali per evitare le notizie, il secondo, con il 36% è perchè le noizie hanno un effetto negativo sull'umore, il 29% è perchè ci si definisce 'esauriti' per la quantità di notizie, stessa percentuale perchè ritengono le notizie 'di parte' e i 17% perchè sono argomenti che preferirebbero evitare.
Molte testate giornalistiche stanno adottando approcci diversi come il giornalismo di soluzione su argomenti come il cambiamento climatico, che mirano a dare alle persone un senso di speranza o una spinta alla chiamata in azione.
Amanda Ripley, una nota giornalista di Time e scrittrice americana ha cominciato a formare giornalisti per coprire diversamente i conflitti polarizzanti, in partnership con il 'Solutions Journalism Network'. La reporter, che ha raccontato recentemente la sua esperienza sul Washington Post, confessa di aver staccato la spina dalle news per anni dopo essere andata da un terapista, scoprendo che anche alcuni colleghi facevano altrettanto. "Se molti di noi si sentono intossicati dalle nostre news, potrebbe esserci qualcosa di sbagliato in essi?", si è chiesta, trovando conferma nella ricerca di Reuters Institute, secondo cui le news sono scoraggianti, ripetitive, di dubbia credibilità e lasciano il lettore con una sensazione di impotenza.
La stampa sembra ignorare "il fattore umano", ossia la capacità di metabolizzare una valanga perpetua di cattive notizie. "Non penso che siamo equipaggiati, psicologicamente o mentalmente, a ricevere notizie e immagini catastrofiche e disorientanti 24 ore al giorno", ha spiegato la collega Krista Tippett, premiata da Barack Obama con la medaglia per gli studi umanistici. I lettori possono spesso sentirsi davvero impotenti leggendo notizie, articoli su realtà dolorose. Ed è infine questo per cui sempre più persone le evitano.
Certi argomenti ci sembrano insostenibili da leggere, la violenza sulle donne, i minori non accompagnati che arrivano in Europa rischiando di affogare su un barcone, le persone sotto assedio in Ucraina, una lista lunghissima di temi E' difficile trovare spunti di speranza o dare ai lettori la sensazione che si può fare qualcosa, in prima persona ad esempio. Intervistando altri esperti, tra medici, scienziati e psicologi, Ripley è arrivata alla conclusione che ai media mancano tre ingredienti: la speranza (la cui assenza genera depressione, ansia, malattie), l'azione e la dignità. Bisognerebbe sempre trovare un modo per far intravedere la speranza dietro la paura, per convertire la rabbia in possibili soluzioni, per accostarsi a tutti con rispetto. Il cosiddetto 'giornalismo di soluzione' quello che informa su come risolvere i problemi o evidenziando cosa imparare dai fallimenti è probabilmente la sfida per questo mestiere e per far si che ci si senta di nuovo dentro le notizie. Una sfida non facile, che però alcuni stanno sperimentando, come il Solutions Journalism Network, che sta formando oltre 25 mila giornalisti nel mondo e che sta guidando un cambiamento globale nel giornalismo, incentrato su ciò che manca più spesso alle notizie: ossia come le persone cercano di risolvere i problemi e cosa possiamo imparare dai loro successi o fallimenti..
Riproduzione riservata © Copyright ANSA