«Noi genitori del terzo millennio abbiamo preteso di consegnare ai nostri figli una vita abitata dalla felicità assoluta, dove tristezza, fallimento e paura non possono comparire mai. Devi sempre essere felice, vincente, potente. Poi, la vita accade. E con essa arrivano dolori inevitabili. Le sconfitte, il lutto, la malattia, l’abbandono amoroso. Tappe dell’esistenza che ti ancorano inevitabilmente al principio di realtà. Al quale nessuno ti ha formato ed educato. E allora, cerchi di trasformare la realtà che ti si rivolta contro, nella realtà che tu desideri. “Non mi ami più? Non è possibile. Tu devi restare con me. Altrimenti mi uccido. Altrimenti ti uccido”. Forse è andata così nella tragica vicenda di Giulia e Filippo», scrive lo psicoterapeuta Alberto Pellai in un'editoriale su Famiglia Cristiana.
«Per ogni nostro figlio maschio, oggi serve un’educazione alle emozioni, ai sentimenti, agli affetti e alla sessualità - aggiunge ancora Pellai - che gli permetta di smettere di voler apparire un “vero uomo”, perché l’unica cosa che davvero gli serve è diventare un “uomo vero”. E Filippo di questa differenza non sapeva probabilmente nulla».
Il gesto assassino di Filippo Turetta da dove origina?
«Il gesto assassino di Filippo da dove origina? Per alcuni - osserva lo psicoterapeuta Alberto Pellai - rappresenta il residuo di una cultura patriarcale che impedisce al maschio di accettare l’esperienza dell’abbandono d’amore, ritenendo la partner affettiva un bene proprio, una sorta di possesso di cui si detiene l’esclusiva e su cui si ha pieno potere decisionale, compreso quello di infliggere la morte di fronte alla richiesta di andarsene via. Io, però, penso che nel gesto tremendo di Filippo ci sia anche molto altro. C’è un giovane adulto in balia di una fragilità emotiva senza pari. Qualcuno che di fronte al dolore dell’abbandono amoroso, non trova in sé risorse interiori che gli permettano di poterlo attraversare».
Riproduzione riservata © Copyright ANSA