Uno studio sulla 'rivoluzione
dell'automotive', presentato da Federmanager e Aiee
(associazione degli economisti dell'energia) oggi con un
convegno, "analizza le ricadute sul sistema industriale italiano
della transizione in corso nel settore auto, considerandone i
quattro principali fattori: nuovi modelli di mobilità, guida
autonoma, digitalizzazione ed elettrificazione" sottolineando
"una visione critica". E calcola: la stima è di un "crollo degli
investimenti per il passaggio all'elettrico: -25% in 10 anni",
con "solo nella componentistica, 500 imprese a rischio chiusura,
60.000 posti in meno". Ed evidenzia un quadro di "imprese troppo
piccole e poco managerializzate: solo il 39% è dotato di
manager".
In Europa, lo stop a diesel e benzina nel 2035 potrebbe
"comportare la perdita di circa mezzo milione di posti di
lavoro, di cui meno della metà sarebbero compensati dalla
transizione sostenibile, con una perdita netta quindi di circa
275 mila posti di lavoro".
In Italia, l'intera filiera dell'automotive "è caratterizzata
principalmente da aziende di piccole dimensioni e conta in
totale 5.500 imprese che coinvolgono 274 mila addetti, con
fatturato connesso di 105,8 miliardi di euro. Il comparto della
componentistica è quello più esposto: su 2.200 imprese delle
5.500 totali, che registrano 161 mila occupati e 45 miliardi di
fatturato, 500 sono fortemente a rischio". Il rapporto evidenzia
che "conseguentemente, lo scenario porta a fare del nostro Paese
il più penalizzato tra le nazioni europee produttrici di
componenti in termini di riduzione di posti di lavoro, con un
-37% di forza lavoro, vale a dire circa 60 mila occupati persi
entro il 2040". L'Italia è il Paese "che rischia di più".
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