Il prezzo dei carburanti è composto
da tre elementi, il costo della materia prima, la componente
fiscale (Iva e accise), e il margine lordo che determina i
guadagni di distributori, intermediari e venditori. Si parte
dal petrolio: gli indici che misurano le quotazioni sono
essenzialmente tre, il West Texas Intermediate (Wti), il Fateh e
il Brent, ossia il greggio del Mare del Nord utilizzato come
riferimento soprattutto sul mercato europeo. Entra poi in gioco
il Platts, agenzia specializzata che ogni giorno fa convergere
la domanda e offerta da parte delle compagnie petrolifere, delle
società di trading e delle banche d'affari, e fissa il valore
effettivo dei prodotti raffinati, ossia il prezzo a cui le
raffinerie possono vendere una tonnellata di benzina o di
gasolio in un determinato giorno. Nella filiera che va
dall'estrazione del petrolio alla vendita di benzina presso i
distributori, si inseriscono un numero imprecisato di broker,
intermediari petroliferi che rappresentano le raffinerie e
piazzano agli acquirenti il prodotto raffinato, attraverso una
lunga serie di passaggi intermedi con altri operatori su mercati
diversi. In Italia le società di raffinazione o importazione del
prodotto già raffinato applicano uno spread, una commissione di
intermediazione per la rivendita al distributore. Oltre al
costo della materia prima, quindi, su ogni litro di benzina e
gasolio si paga un margine lordo, ossia una quota che va a
remunerare tutti gli oneri relativi ai passaggi della filiera
dalla raffinazione alla distribuzione. Il prezzo finale si
compone poi di una parte fiscale, costituita da accise e Iva,
fetta che, in base ai dati odierni diffusi dal Ministero, pesa
in totale per il 58,2% sul prezzo di un litro di benzina, e per
il 51,1% sul gasolio. Per quanto riguarda i gestori
attualmente guadagnano 3,5 cent sul self e 5 sul servito. Su
questo listino l'unico spostamento possibile è di un altro mezzo
centesimo, quindi si arriverebbe a 4 cent sul self e a 5,5 sul
servito.
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