"No allo stop alla vendita dei veicoli a benzina e diesel dal 2035". Alla vigilia della riunione dei Rappresentanti Permanenti aggiunti in Ue (Coreper I) chiamata a dare il via libera finale al regolamento europeo, l'Italia riapre una partita che, dalle parti della Commissione, davano per chiusa. "I target ambientali vanno raggiunti attraverso una transizione economicamente sostenibile e socialmente equa", ha spiegato il ministero dell'Ambiente e della Sicurezza energetica annunciando la posizione contraria che l'Italia esprimerà a Bruxelles. Una posizione che rischia di far traballare notevolmente il Regolamento: al 'no' di Roma vanno infatti aggiunti i dubbi di Berlino e le posizioni di Bulgaria e Polonia, rispettivamente astenuta e contraria al Coreper che, a novembre, diede luce verde all'intesa. Messi insieme, i quattro Paesi costituirebbero un blocco di minoranza decisivo per stoppare l'iter. Il via libera del Coreper II allo stop alla vendita di motori endotermici dal 2035 è in agenda nella riunione di mercoledì e segue l'approvazione finale dell'Eurocamera avvenuta alla Plenaria di febbraio. La ratifica, formale e definitiva, è prevista al Consiglio Ue del 7 marzo. La posizione del governo, tuttavia, rimette tutto in bilico. L'Italia ritiene che la scelta dell'elettrico non debba rappresentare, nella fase di transizione, l'unica via per arrivare a zero emissioni. "Il successo delle auto elettriche dipenderà molto da come diventeranno accessibili a prezzi concorrenziali", ha osservato il ministero guidato da Gilberto Pichetto. Contemporaneamente, a Berlino, il ministro dei Trasporti Volker Wissing ha scandito che, senza un regolamento ad hoc sugli e-fuels, anche la Germania potrebbe mettere il veto. "Alla luce dell'enorme flotta di veicoli già esistenti che abbiamo soltanto in Germania, per l'Fdp ci può essere solo un compromesso sui limiti del parco auto, se anche il ricorso agli e-fuels è possibile", ha spiegato il ministro, esponente dell'ala liberale del governo. La posizione dell'Italia riflette quella espressa in maniera compatta da Fi, Lega e Fdi alla Plenaria di febbraio al Pe. E, in linea di principio, è stata anticipata da Matteo Salvini al Consiglio informale Affari Energia e Trasporti di Stoccolma. "La transizione in cui tutti crediamo va incentivata e accompagnata ma correre rischia di produrre l'effetto contrario", sono state le parole del titolare del Mit. A Stoccolma, nel frattempo, ha ancora tenuto banco la questione del nucleare. In una dichiarazione scritta, su iniziativa della Francia, undici Paesi membri (dalla Polonia all'Ungheria fino all'Olanda) hanno chiesto all'Ue "di garantire collaborazione delle forniture e esplorare programmi di formazione congiunti e progetti industriali" sull'energia nucleare. Il documento è stato redatto al termine di un incontro al quale l'Italia era data inizialmente tra i partecipanti. Roma, tuttavia, alla fine non si è seduta al tavolo. "L'Italia è sempre la benvenuta ma sta al governo decidere", hanno spiegato fonti del governo francese mentre Salvini ha ricordato il "drammatico errore" italiano di non aver più investito nel settore. Ma l'esecutivo deve fare i conti con il referendum abrogativo del 1987, che riguardava il nucleare di prima e seconda generazione. Solo dopo un adeguato approfondimento il governo avrà chiari i margini entro i quali potersi muovere.
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