L'inquinamento ambientale è un
problema diffuso a livello globale, il caso dei
perfluoroalchilici, Pfas, ha acquisito estrema rilevanza
soprattutto nel territorio Veneto nell'ultimo decennio. In
realtà l'esposizione è un problema esteso a tutta la
popolazione, che può entrare in contatto con queste sostanze
attraverso oggetti di uso quotidiano come pellicole e
rivestimenti alimentari, tappeti, abbigliamento, polvere,
prodotti cosmetici. "Le manifestazioni cliniche associate
all'inquinamento da Pfas sono certamente evidenti nelle
popolazioni esposte - spiega Carlo Foresta, professore ordinario
di endocrinologia presso la Scuola di Medicina di Padova - ma è
interessante considerare che anche i bassi livelli di queste
sostanze riscontrabili nella popolazione generale possono
costituire fattore di rischio per manifestazioni cliniche
associate a questa forma di inquinamento".
Su queste premesse, sono state proposte varie iniziative per
la riduzione delle concentrazioni di questi inquinanti
persistenti dall'ambiente e in particolare si è rivelato
efficace l'utilizzo di filtri al carbone attivo per la
purificazione delle acque ad uso umano nell'area rossa a massimo
inquinamento da Pfas. Ma è rimasta tuttavia inalterata la
difficoltà di intervenire sull'uomo per eliminare queste
sostanze che hanno un tempo di eliminazione fino a dieci anni.
Per risolvere la questione dell'eliminazione dei Pfas dal corpo
umano si è attivato il gruppo di studio del professor Foresta.
Le ricerche condotte dalla sua equipe e svolte presso l'Uocdi
Andrologia e Medicina della Riproduzione dell'Azienda Ospedale
Università di Padova, diretta dal professor Alberto Ferlin,
hanno permesso di identificare possibili forme di intervento
basandosi sulle dinamiche di bioaccumulo di queste sostanze
nell'uomo. Da un'intuizione sperimentale ispirata all'attuale
tecnologia di filtraggio delle acque, basata sull'utilizzo dei
filtri ai carboni attivi, è stato individuato un corrispettivo
terapeutico nel carbone attivo vegetale ad uso umano.
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