Riuscire a fare una previsione di
come evolverà la prognosi di pazienti con ictus è più facile
grazie a uno studio multicentrico coordinato dall'Università
Cattolica di Roma: in circa un caso su due l'ictus dà
inizialmente sintomi solo lievi; tuttavia circa la metà di
questi pazienti (detti minor stroke) finisce per aggravarsi
all'improvviso. È cruciale predire chi si aggraverà per
riconoscere i pazienti da trattare in modo più aggressivo
subito, spiega Aldobrando Broccolini della Cattolica, autore di
due lavori pubblicati su Journal of NeuroInterventional Surgery.
Lo studio, che ha visto impegnati 16 grandi centri
ospedalieri (15 italiani e 1 svizzero), ha coinvolto 308
pazienti con ictus ischemico acuto caratterizzato da deficit
neurologico minimo, ma con un'occlusione riguardante un'arteria
di grosso calibro del cranio. In questi pazienti, le attuali
linee guida di trattamento non definiscono un approccio
terapeutico univoco.
I "minor stroke", ictus associati a un quadro clinico
generalmente favorevole, sono quasi la metà di tutti gli ictus.
In termini pratici, un paziente con ictus e sintomi minimi può
presentarsi, per esempio, con una lieve emiparesi e un lieve
disturbo del linguaggio ma con funzioni cognitive intatte. Gli
esperti hanno coinvolto pazienti minor stroke con una occlusione
di un grosso vaso del cranio, in particolare l'occlusione di un
tratto più periferico dell'arteria cerebrale media. Le attuali
linee guida sconsigliano per questi pazienti con un grado lieve
di compromissione clinica una procedura endovascolare.
"Tuttavia - precisa Broccolini - sappiamo che una
percentuale di questi, pur avendo al principio sintomi minimi,
può andare incontro ad un peggioramento clinico notevole". Dallo
studio è emerso ad esempio che la presenza di fibrillazione
atriale è un elemento predittivo di deterioramento clinico. "I
nostri dati suggeriscono che l'approccio terapeutico più
ragionevole prevede inizialmente una gestione medica e uno
stretto monitoraggio clinico e poi il trattamento endovascolare
solo in presenza di un precoce peggioramento dei sintomi. Questo
approccio - conclude - dà risultati analoghi per la prognosi a
lungo termine rispetto ad un approccio che preveda un
trattamento endovascolare immediato".
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