Risultati promettenti da un trial clinico sulla sclerosi multipla progressiva: un team italo-britannico ha dimostrato che l'iniezione di un tipo di cellule staminali nel cervello di pazienti da sclerosi multipla progressiva (SM) è sicura, ben tollerata e ha un effetto duraturo che sembra proteggere il cervello da ulteriori danni.
Pubblicato sulla rivista Cell Stem Cell, lo studio è stato condotto da scienziati dell'Università di Cambridge, dell'Università di Milano Bicocca e dell'Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza dell'Ente Ospedaliero Cantonale di Lugano e dell'Università del Colorado e rappresenta un passo avanti verso lo sviluppo di una terapia cellulare avanzata per la SM progressiva. Gli scienziati hanno completato uno studio clinico di fase iniziale basato sull'iniezione di cellule staminali neurali nel cervello di 15 pazienti italiani con SM. Il team italiano aveva precedentemente dimostrato la possibilità di produrre una fornitura virtualmente illimitata di queste cellule staminali da un singolo donatore, e in futuro potrebbe essere possibile derivare direttamente queste cellule dal paziente, contribuendo a superare i problemi pratici legati all'uso di tessuti fetali allogenici.
Il team ha seguito i pazienti per 12 mesi, durante i quali non sono stati osservati decessi correlati al trattamento o eventi avversi gravi. Tutti i pazienti mostravano livelli elevati di disabilità all'inizio dello studio, la maggior parte era in sedia a rotelle, ma durante i 12 mesi nessuno ha mostrato un aumento della disabilità o un peggioramento dei sintomi. Nel complesso, secondo i ricercatori, questo indica una sostanziale stabilità della malattia, senza segni di progressione.
I ricercatori hanno scoperto che maggiore era la dose di cellule staminali iniettate, minore era la riduzione del volume cerebrale nel tempo. Il team ha anche cercato segni che le cellule staminali stessero avendo un effetto neuroprotettivo. "I nostri risultati sono un passo verso lo sviluppo di una terapia cellulare per trattare la SM", sostiene Stefano Pluchino dell'Università di Cambridge.
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