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L'immunoterapia frena la progressione del tumore del fegato

L'immunoterapia frena la progressione del tumore del fegato

In Italia colpite ogni anno 12.200 persone

ROMA, 19 gennaio 2024, 17:05

Redazione ANSA

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cellule tumorali - RIPRODUZIONE RISERVATA

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cellule tumorali - RIPRODUZIONE RISERVATA

L'aggiunta del farmaco immunoterapico durvalumab all'attuale standard di cura (la cosiddetta chemioembolizzazione) raddoppia il tempo di progressione della malattia nei pazienti con tumore del fegato. È il dato saliente dello studio Emerald-1 presentato all'American Society of Clinical Oncology Gastrointestinal Cancers Symposium a San Francisco, da Riccardo Lencioni, docente di Diagnostica per Immagini all'Università di Pisa.
    Circa il 20-30% dei pazienti con carcinoma epatocellulare, il più comune tumore del fegato che complessivamente in Italia colpisce 12.200 persone ogni anno, è eleggibile per la chemioembolizzazione transarteriosa, una procedura che blocca l'afflusso di sangue al tumore e permette di somministrare la chemioterapia o la radioterapia direttamente al fegato. La maggior parte dei pazienti embolizzati va però incontro a progressione di malattia o recidiva entro un anno.
    Lo studio ha confrontato in 616 pazienti con tumore del fegato non operabile, ma idoneo all'embolizzazione, l'efficacia dello standard di cura attuale con un protocollo che prevedeva il trattamento con durvalumab contemporaneamente alla chemioembolizzazione transarteriosa, seguito da durvalumab con o senza il farmaco bevacizumab. La sperimentazione ha confermato la maggiore efficacia del nuovo regime: i pazienti che lo hanno ricevuto avevano un rischio del 23% più basso di progressione della malattia o morte, con un tempo trascorso fino alla progressione della malattia di 15 mesi, rispetto agli 8,2 mesi curati con la sola chemioembolizzazione.
    Lo studio "evidenzia il ruolo importante dell'immunoterapia in combinazione con la chemioembolizzazione quando il tumore è confinato al fegato e la funzionalità epatica non è compromessa", commenta Vincenzo Mazzaferro, direttore della Chirurgia Oncologica (epato-gastro-pancreatica) e Trapianto di Fegato all'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. "Alcuni di questi pazienti possono raggiungere livelli di risposta tumorale compatibili con terapie curative come la resezione del tumore o il trapianto".
   

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