"È sempre più diffusa in Italia la prescrizione di farmaci da parte di professionisti come fisioterapisti, o addirittura preparatori atletici, pur non essendo medici. Se normalmente non ci si fa caso, quando la pratica riguarda un atleta professionista ciò diventa grave": lo rileva Valter Santilli, medico fisiatra e professore ordinario di Medicina fisica e riabilitativa dell'Università Sapienza di Roma, commentando all'ANSA la vicenda di doping che ha coinvolto Jannik Sinner, tennista italiano numero 1 mondiale del ranking maschile. Sinner era risultato positivo a un metabolita dello steroide Clostebol lo scorso aprile ed è stato scagionato il 15 agosto dall'agenzia antidoping Itia per "assunzione inconsapevole". La contaminazione avvenne per via dell'utilizzo di uno spray da parte del suo fisioterapista dopo essersi ferito a un mignolo, su suggerimento del preparatore atletico del campione, tra il 5 e il 13 marzo.
"Secondo la legge Gelli-Bianco (che disciplina la responsabilità sanitaria in Italia, ndr), in caso di prescrizione da parte di un medico questo potrebbe incorrere in accuse di negligenza, imperizia e imprudenza, in quanto tenuto a conoscere le sostanze che un atleta sottoposto a indagini antidoping deve evitare o eventualmente dichiarare", prosegue Santilli. "Se invece a prescrivere il farmaco non è stato un medico, allora per tale terapista potrebbe configurarsi l'abuso della professione medica. Pratiche di questo tipo, in aumento nel nostro Paese, costituiscono un problema di natura medico-legale ma anche di sicurezza per i pazienti. Questo è stato un caso clamoroso", conclude Santilli, "ma vi sono migliaia di situazioni analoghe che non finiscono sui giornali".
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