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Violenza sulle donne, uno studio dell'Iss cerca le 'cicatrici' nel Dna

Violenza sulle donne, uno studio dell'Iss cerca le 'cicatrici' nel Dna

Le donne possono partecipare inviando un campione biologico

ROMA, 22 novembre 2024, 13:31

Redazione ANSA

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La violenza lascia cicatrici molecolari sul Dna delle donne che la subiscono: capire fino a che punto queste modifiche si estendano all'interno del genoma delle vittime e quanto durano i loro effetti nel tempo potrebbe essere la chiave per mettere in atto una prevenzione di precisione. È questo l'obiettivo di Epi-We (Epigenetics for Women), progetto di ricerca dell'Istituto Superiore di Sanità.
    Il progetto è ora entrato in una nuova fase e l'Iss sta invitando le donne a partecipare attraverso la donazione di un campione biologico. Chi volesse contribuire alla ricerca può contattare l'Iss all'indirizzo email epi_we@iss.it, ha ricordato l'Iss in vista della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne che si celebra lunedì 25 novembre. "Già 70 donne hanno risposto e aderito al progetto e alcune di loro si sono anche raccontate, hanno anche parzialmente descritto il tipo di violenza subita. Per noi, e per tutte le donne, è un grande risultato", dice Simona Gaudi coordinatrice di Epi-We ricercatrice del dipartimento Ambiente e Salute di Iss.
    Intanto, l'Iss continua con i corsi di formazione per contrastare e prevenire la violenza di genere, che hanno già raggiunto più di 18 mila operatori sanitari di tutti i 651 pronto soccorsi e oltre 2 mila del territorio. "Rilevare la violenza sulle donne che arrivano nei Pronto soccorso non è affatto un processo scontato, è necessario che il personale di salute abbia conoscenze, competenze e strumenti per farlo", afferma Anna Colucci, ricercatrice dell'Unità Operativa ricerca psico-socio-comportamentale, Comunicazione, Formazione dell'Iss.
    "Le donne che vivono situazioni di violenza sono di ogni età e appartengono a differenti contesti socio-culturali, spesso temono di rilevare quanto hanno subito per timore di ritorsioni da parte del maltrattante o di essere ritenute loro stesse, in qualche modo, responsabili della violenza, temono cioè quello che viene definito vittimizzazione secondaria", conclude Colucci.
   

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