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Emicrania, sempre più rilevanti i risultati da studi real world

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Emicrania, sempre più rilevanti i risultati da studi real world

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In collaborazione con Teva

Al congresso Sin Teva si parla di studio Pearl su monoclonali

Milano, 19 gennaio 2023, 17:25

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52/mo Congresso SIN (Società Italiana di Neurologia) sul Trattamento dell 'emicrania - RIPRODUZIONE RISERVATA

52/mo Congresso SIN (Società Italiana di Neurologia) sul Trattamento dell 'emicrania - RIPRODUZIONE RISERVATA
52/mo Congresso SIN (Società Italiana di Neurologia) sul Trattamento dell 'emicrania - RIPRODUZIONE RISERVATA

ANSAcom - In collaborazione con Teva

Gli studi sulla pratica clinica di ‘real world’ forniscono maggiori informazioni sul trattamento dell'emicrania: lo dicono gli esperti. In occasione del simposio ‘Fremanezumab: cosa è cambiato in un anno’, al 52/o congresso della Società italiana di Neurologia a Milano, la casa farmaceutica Teva ha presentato le nuove evidenze dello studio Pearl, Pan-European Real World, che vede coinvolti in Italia 354 pazienti da 30 centri partecipanti.
“Lo studio Pearl - spiega ordinaria di Neurologia dell'Università di Pavia Cristina Tassorelli - è uno di quegli studi definiti tecnicamente ‘real life’: vuol dire che il paziente viene gestito normalmente, come lo sarebbe dal suo medico curante o dal medico specialista, la differenza è che vengono raccolti in maniera capillare dei dati”. Questo, osserva, “è importante perché negli studi clinici controllati vengono inclusi pazienti con caratteristiche selezionate e trattati secondo un protocollo ben preciso; le indagini ‘real life’ invece ci danno informazioni più utili per la gestione di questi pazienti nella realtà di tutti i giorni”.
Per la professoressa è “fondamentale che le case farmaceutiche facciano questi studi perché raccogliendo informazioni in diversi centri riusciamo a mettere insieme una casistica importante e riusciamo ad avere delle indicazioni che sono sempre più forti”. Per il responsabile del Centro Cefalee dell’Università della Campania ‘Luigi Vanvitelli’, Antonio Russo, “il dato di ricchezza che ci danno gli studi ‘real life’ deriva dal fatto che abbiamo pazienti che incontriamo nella nostra pratica clinica, con le loro difficoltà e la loro storia di fallimenti con i precedenti farmaci. Ciò che osserviamo è quanto di più aderente possibile all’esperienza del neurologo clinico nella sua attività quotidiana”.
Da una precedente survey condotta da Teva, sono 41 milioni le persone in Europa che vivono con l'emicrania: è la seconda causa di disabilità nel mondo e la prima tra le giovani donne. Spesso inizia a manifestarsi durante la pubertà e colpisce principalmente la popolazione più produttiva, di età compresa tra i 35 e i 45 anni, incidendo sulla capacità di essere partner o genitori o riducendo il rendimento sul luogo di lavoro.
Diversi sono i criteri di valutazione della disabilità dei pazienti: “Il MIDAS (migraine disability assessment ndr) ci da un’informazione sull’impatto della malattia a 360 gradi sul paziente - spiega la professoressa Tassorelli - è un buon indicatore, semplice e molto intuitivo, può essere utilizzato dal paziente, dal medico di base o dallo specialista, e ci dice quanto la malattia è grave e quanto impedisce a quel paziente di vivere vari aspetti della propria vita, come studiare, andare al lavoro o avere hobby. Ma potrebbe essere utile anche tenere conto dei giorni di emicrania al mese (gli MMD, ‘monthly migraine days’ ndr): dati preliminari suggeriscono che utilizzare entrambi, in aggiunta o alternativamente, potrebbe dirci qualcosa in più per capire meglio l’impatto della malattia sul paziente”. Per avere la prescrizione e l'anticorpo rimborsato, secondo AIFA, i pazienti devono avere almeno 8 giorni di emicrania mensili e uno score MIDAS maggiore o uguale a 11.
In futuro, la ricerca clinica nell’ambito dell’emicrania rispetto al mondo degli anticorpi monoclonali, “sarà volta a identificare non solo i possibili cambiamenti nella plasticità neuronale e quindi nel funzionamento del cervello dei pazienti che portano avanti terapie con gli anticorpi monoclonali, ma soprattutto a individuare dei biomarcatori che ci permettano di comprendere se ci sono tipologie di pazienti che rispondono meglio, e in quali tempi, agli anticorpi” commenta il professor Russo. “I dati a nostra disposizione finora - osserva - suggeriscono che prima si agisce con anticorpi monoclonali migliore sarà l’aspettativa di efficacia del trattamento”.

ANSAcom - In collaborazione con Teva

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