I numeri che evidenziano l'aumento
dell'utilizzo di psicofarmaci in età pediatrica nell'anno della
pandemia "non stupiscono, evidenziano un aumento atteso e
persino più basso rispetto all'aumento dei disturbi che vediamo.
La pandemia ha rallentato l'accesso ai servizi di salute mentale
e ha rappresentato un sovraccarico di stress per i giovanissimi.
Quelli più vulnerabili ne hanno patito di più l'impatto. E' un
problema che va tenuto d'occhio". Lo spiega all'ANSA Antonella
Costantino, presidente della Società Italiana di
Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza (Sinpia),
commentando i dati emersi dal Rapporto Osmed 2020 sull'Utilizzo
dei Farmaci in Italia, elaborato dall'Agenzia italiana del
Farmaco (Aifa).
"In Italia abbiamo un consumo di psicofarmaci in genere molto
più basso rispetto ad altri paesi come Stati Uniti, questo
significa che si tende a usarli in generale poco. Il dato del
consumo di psicofarmaci tra bambini e adolescenti è stato fermo
per tanti anni ed ha iniziato a segnare un aumento da qualche
anno a questa parte, di pari passo all'aumento di ricoveri e
richiesta di accesso a servizi di salute mentale per disturbi
psichiatrici", spiega Costantino, che dirige l'Unità Operativa
di Neuropsichiatria per l'Infanzia-Adolescenza del Policlinico
di Milano.
Le prescrizioni di psicofarmaci in età pediatrica nel 2020,
precisa, "sono un indicatore che conferma come sui minori, pur
meno colpiti in modo diretto dalla malattia, il Covid ha pesato
dal punto di vista psicologico: con l'isolamento, il ritardo di
diagnosi di disturbi, la mancanza di interventi terapeutici già
carenti prima della pandemia, la carenza di rete sociale, la
mancanza di connessione con mezzi tecnologici o, al contrario un
aumento della dipendenza da questi. È la conferma che i problemi
ci sono e vanno affrontati".
Riproduzione riservata © Copyright ANSA