Oltre 200 test sul materiale
biologico conservato presso la Famicord a Varsavia hanno
accertato che le cellule staminali di oltre 300mila bambini
europei, di cui 15 mila italiani - contenute nei tank trasferiti
dalla Svizzera in Polonia nel luglio 2019 a causa dei problemi
finanziari di Cryo Save, società di crioconservazione poi
fallita - non sono state danneggiate e corrispondono al Dna dei
donatori. A riferirlo all'ANSA sono gli avvocati Massimiliano
Seregni e Raffaella Di Castro che si sono occupati della vicenda
in rappresentanza di migliaia di genitori, creando anche un sito
internet, www.genitoristaminali.it, dove si trova il resoconto
dell'attività svolta.
"L'obiettivo dei test - spiega Seregni - era quello di
accertare se effettivamente il materiale biologico si trovava in
uno stato di vitalità compatibile con il processo di
conservazione e quindi escludere che quanto accaduto alla Cryo
Save avesse compromesso lo stato di vitalità delle cellule
staminali conservate. Il secondo obiettivo era la verifica se il
materiale contenuto all'interno delle sacche corrispondesse
realmente a quello del legittimo proprietario: per fare questo
abbiamo organizzato test scientifici di verifica del materiale.
Abbiamo eseguito circa 200 test, che coprono comunque tutti i
vari anni di conservazione di Cryo Save: dato che i tank con le
cellule sono oltre 50, un eventuale evento di surriscaldamento
avrebbe comunque interessato uno di quelli verificati. Oltre a
quello c'è stato anche il confronto con le autorità mediche di
controllo della Swissmedic e i responsabili del laboratorio che
hanno confermato e dato elementi ulteriori a conforto del fatto
che nella conservazione venivano seguite le procedure corrette".
Le famiglie avevano affidato le cellule staminali per la
crioconservazione per 20 anni pagando un corrispettivo di circa
duemila euro; in Italia non è consentita la raccolta e la
conservazione del sangue cordonale per i propri congiunti, ma
solo la loro eventuale esportazione presso strutture all'estero;
è permesso invece il cosiddetto uso allogenico, presso strutture
pubbliche specifiche, da donatori compatibili. "Adesso -
conclude Seregni - dopo un lungo percorso, anche a causa del
Covid, i genitori hanno tutti gli elementi per poter valutare se
proseguire o meno la conservazione nella consapevolezza che
comunque il materiale è stato conservato in modo corretto".
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