Il rilancio del finanziamento
pubblico per la sanità pubblica è stato "imposto dalla pandemia"
ma anche "eroso" da questa: dal 2020 ad oggi è passato da 113,8
miliardi a 124,9 miliardi, un aumento di ben 11,2 miliardi, di
cui 5,3 assegnati con decreti Covid-19. Tuttavia, "le risorse
sono state interamente assorbite dalla pandemia e nel 2022
diverse Regioni rischiano di chiudere con i conti in rosso". A
evidenziarlo è il quinto rapporto Gimbe sul Servizio Sanitario
Nazionale presentato oggi alla Sala Capitolare del Senato.
Nel frattempo, la Pandemia presenta il conto dei suoi effetti
a medio e lungo termine, che si vanno ad aggiungere ai problemi
che pesavano sulla sanità pubblica in era pre Covid e che sono
rimasti irrisolti. Ci troviamo quindi a fare i conti con liste
d'attesa lunghissime per visite, esami, operazioni chirurgiche e
screening; ma anche nuovi bisogni di salute, in particolare
quelli dettati dagli effetti del long-Covid e dalle ricadute
della pandemia sulla salute mentale. E, soprattutto, l'ulteriore
indebolimento del personale sanitario: "Pensionamenti
anticipati, burnout e demotivazione, licenziamenti volontari e
fuga verso il privato lasciano sempre più scoperti settori
chiave, in particolare i Pronto Soccorso", rileva Gimbe.
"Considerato che gli investimenti per nuovi specialisti e medici
di famiglia - spiega il presidente Nino Cartabellotta - daranno
i loro frutti non prima di 5 e 3 anni, il nodo del personale
richiede soluzioni straordinarie in tempi brevi".
"Se formalmente la stagione dei tagli alla sanità può
ritenersi conclusa - conclude Cartabellotta - è evidente che il
rilancio del finanziamento pubblico è stato imposto
dall'emergenza pandemica e non dalla volontà politica di
rafforzare in maniera strutturale il Servizio sanitario".
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