È morto Marco Gasparotti, classe 1955, nato a Ghedi, in provincia di Brescia, conosciuto chirurgo plastico italiano, noto per aver operato personaggi dello spettacolo e dell'imprenditoria. Si era impegnato in progetti di solidarietà sociale a favore dei ragazzi in difficoltà.
Ne dà notizia su Instagram il Gruppo Gasparotti. "È stato non solo un chirurgo plastico di straordinario talento ma anche un mentore, un amico e una fonte di ispirazione per tutti noi", si legge nel post dove si ricorda il "suo straordinario contributo alla medicina e alla vita di tanti".
Lo ricordano i suoi colleghi come Emanuele Bartoletti, presidente della società italiana di medicina estetica, e altri colleghi come Roy De Vita.
Gasparotti si è laureato all'Università di Roma nel 1978 e si è specializzato in Chirurgia Plastica all'Università di Parma nel 1981. Fin dal 1978 ha frequentato le più prestigiose scuole brasiliane e americane di chirurgia plastica. Specialista in chirurgia plastica ricostruttiva, Gasparotti, si legge nel suo profilo, è stato citato tra i 100 chirurghi plastici più bravi al mondo dal Sherrell Aston Institute di New York, e ha effettuato più di 15.000 interventi. Sue sono numerose pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali del settore.
A ricordarlo è anche il nipote Andrea Florio, chirurgo plastico come lo zio al quale è stato a fianco in sala operatoria. Sul sito della Sicpre Florio spiega "l'approccio fatto di umiltà, di dubbi, di insicurezze. Ha insegnato a tutti noi che, per ottenere un risultato perfetto, l’ego del chirurgo va sepolto. Direi non il trend del momento…Ci ha insegnato che bisogna affrontare ogni intervento non con la paura, ma col terrore di sbagliare, di non dare il massimo. Non con la spavalderia che sempre più impazza nei nuovi canali di comunicazione. Ci ha insegnato che il dubbio è una forma di intelligenza molto più forte, molto più proficua della presunta sicurezza data dagli anni di esperienza. Ci ha insegnato che l’ansia, in sala operatoria, è un’alleata molto più potente della tranquillità, perché ti spinge a controllare tutto in maniera maniacale, ti spinge a seguire uno schema mentale ripetitivo e collaudato, che riduce il margine per l’errore, per l’imprevisto e per la complicanza. Ci ha trasmesso che bisogna avere la capacità di ascoltare ogni collaboratore, ogni infermiere, ogni persona che transita in sala operatoria – anche solo di passaggio – e che potrebbe farti notare qualcosa che ti fosse sfuggito, che potrebbe regalarti un punto di vista diverso". E poi ancora "l’ossessione per il singolo dettaglio, che spesso sfocia in frustrazione, nella rabbia di chi si sente incompreso dalle persone intorno, che non colgono i particolari o le imperfezioni che lui insegnava a cercare, in maniera spasmodica". "Un Maestro - conclude Florio - che ci ha insegnato a posizionare l’asticella non in alto, di più. Ad avere l’ansia non solo di raggiungerla quell’asticella, ma di oltrepassarla".
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