Il dipartimento della Salute della Louisiana ha annunciato che il paziente ricoverato in ospedale per il primo caso umano di influenza aviaria ad alta patogenicità negli Stati Uniti è morto. Lo riferiscono i media americani. Il paziente aveva più di 65 anni e presentava patologie preesistenti.
"Anche se tragica, una morte per influenza aviaria H5N1 negli Stati Uniti non è inaspettata a causa del noto rischio che l'infezione da questi virus causi malattie gravi e morte": è il commento del Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie statunitense (Cdc, Centers for disease control and prevention) sul primo decesso di un paziente con influenza aviaria ad alta patogenicità nel Paese. in Louisiana. L'analisi del Cdc sul virus aveva "identificato mutazioni a bassa frequenza nel gene dell'emoagglutinina" che "non sono state trovate nelle sequenze virali provenienti da campioni di pollame raccolti nella proprietà del paziente, suggerendo che i cambiamenti sono emersi nel paziente dopo l'infezione".
Sono 66 i casi di H5N1 negli Usa dal 2024, 67 dal 2022. Come riporta l'Organizzazione mondiale della sanità, dal 2003 sono stati registrati oltre 950 casi nel mondo, di cui sono morti circa la metà. Il Cdc "continua a valutare che il rischio per il pubblico in generale rimane basso", e soprattutto che "non è stata identificata alcuna diffusione della trasmissione da persona a persona". La maggior parte delle infezioni da influenza aviaria H5, continua, "sono legate all'esposizione degli animali all'uomo".
Non ci sono cambiamenti virologici "preoccupanti" in diffusione tra uccelli selvatici, pollame o mucche che potrebbero aumentare il rischio per la salute umana, spiega l'agenzia, che avverte come in ogni caso "le persone con esposizioni lavorative o ricreative ad uccelli o altri animali infetti corrono un rischio maggiore di infezione".
"Non siamo in una nuova fase dell'influenza aviaria H5N1, il contesto epidemiologico non è cambiato", afferma Massimo Ciccozzi, ordinario di Epidemiologia al Campus Bio-medico di Roma, invitando a non creare allarmismo dopo la notizia della prima morte negli Stati Uniti di un paziente colpito dal virus ad alta patogenicità e invitando ad alzare l'attenzione sugli allevamenti intensivi. "Si tratta di una persona con più di 65 anni che aveva anche altre patologie", continua Ciccozzi interpellato dall'Ansa, "anche una normale influenza avrebbe messo in crisi il suo organismo. La definizione di 'alta patogenicità' appare arbitraria", aggiunge, facendo l'esempio della bambina cambogiana di 11 anni morta nel 2023 per un ceppo identico a quello che aveva colpito il padre, asintomatico: "Come si spiega? Forse non c'è un preciso criterio di identificazione di alta patogenicità, che dev'essere geneticamente correlata a una caratteristica che porta alla morte".
"Le persone non devono allarmarsi, non abbiamo elementi scientifici che indichino un cambiamento del quadro epidemiologico per l'influenza aviaria H5N1", è il commento di Giovanni Rezza, professore di igiene e sanità pubblica presso l'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, già dirigente di ricerca dell'Iss, che evidenzia all'Ansa come la situazione globale risulti invariata dopo la morte negli Stati Uniti di un paziente colpito dal virus. "Dall'inizio degli anni Duemila il virus ha causato poco meno di mille casi. La novità è semplicemente che questo è il primo decesso nel Paese, ma si tratta di un paziente vulnerabile di oltre 65 anni e con altre patologie, e soprattutto di un contagio da volatile a uomo, molto frequente, e non da mammifero a uomo", aggiunge. Nessun cambiamento di passo, quindi, per un contagio la cui catena interumana di trasmissione più lunga "è avvenuta nel 2006 in Indonesia, quando una donna malata ha infettato altri 6 componenti della famiglia", spiega Rezza, che però ricorda: "Da allora la trasmissione da persona a persona è stata rara o completamente assente, come oggi".
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