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Il 75% del Dna potrebbe essere “spazzatura”

Il 75% del Dna potrebbe essere “spazzatura”

Il progetto Encode lo aveva relegato al 25%, si riapre il dibattito

20 luglio 2017, 10:51

Redazione ANSA

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Il 75% del Dna potrebbe essere “spazzatura” (fonte: qimono, da Pixabay) - RIPRODUZIONE RISERVATA

Il 75% del Dna potrebbe essere “spazzatura” (fonte: qimono, da Pixabay) - RIPRODUZIONE RISERVATA
Il 75% del Dna potrebbe essere “spazzatura” (fonte: qimono, da Pixabay) - RIPRODUZIONE RISERVATA

Si riaccende il dibattito sul Dna spazzatura, la parte di codice genetico che sembra priva di funzione: nuovi calcoli indicano che potrebbe essere il 75% del genoma umano, in contrasto con il progetto internazionale Encode, che nel 2012 lo aveva relegato solo al 25%. Lo studio di Dan Graur, all’Università di Houston, è stato pubblicato sulla rivista Genome Biology and Evolution e suggerisce che la parte funzionale del codice genetico probabilmente è solo il 10% o 15%, con un valore massimo del 25%: il resto è Dna spazzatura, inutile ma innocuo, perché le mutazioni che avvengono in questi tratti non hanno alcun effetto.

Per calcolare la parte attiva del Dna, Graur ha preso in considerazione due aspetti: la frequenza con cui compaiono mutazioni dannose e il tasso di fertilità degli ultimi 200.000 anni, entrambi già conosciuti. Infatti a causa di queste mutazioni “cattive” ogni coppia deve generare poco più di due bambini per mantenere costante il livello della popolazione: negli ultimi 200.000 anni il tasso di fertilità si è attestato tra 2,1 e 3,0 figli per coppia e la popolazione globale è rimasta più o meno stabile fino al XIX secolo, quando la mortalità infantile è cominciata a diminuire notevolmente.

Con queste informazioni il ricercatore ha sviluppato un modo per calcolare la diminuzione del numero di figli causata dalle mutazioni dannose e ha scoperto che se l’80% del codice genetico fosse funzionale, come sostenuto dall’Enciclopedia degli Elementi del Dna (Encode), ogni coppia nel mondo dovrebbe avere circa 15 figli per sostenere la popolazione, e solo due di questi potrebbero morire o non riprodursi.

La nuova ricerca non solo smentisce le ipotesi precedenti, ma potrà aiutare anche la genetica e la medicina: “Abbiamo bisogno di conoscere quanta parte del genoma umano è attiva per indirizzare la ricerca biomedica sulle parti che possono essere effettivamente utili nel prevenire e curare malattie”, ha detto Graur. “Non c’è bisogno di sequenziare tutto – ha aggiunto – ma solo quei punti che sappiamo essere funzionali”.

Riproduzione riservata © Copyright ANSA

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