Hanno debuttato nei laboratori di biologia soltanto da pochi mesi, eppure gli ‘avatar’ degli embrioni umani stanno già dando i primi frutti nella ricerca scientifica. Ottenuti a partire da cellule staminali adulte, e quindi scevri da implicazioni etiche, possono ricapitolare sotto gli occhi dei ricercatori tutti quei processi di sviluppo dell’embrione che altrimenti sarebbero impossibili da studiare nel grembo materno. Cruciali per accelerare i progressi nella medicina della riproduzione, hanno già permesso di individuare due nuovi ‘interruttori’ molecolari della fertilità, che potranno aumentare l’efficienza della fecondazione artificiale e portare allo sviluppo di contraccettivi di nuova generazione, più sicuri e facili da usare. Il risultato è pubblicato su Nature dall’Istituto di biotecnologia molecolare dell’Accademia austriaca delle scienze (IMBA).
“Il nostro obiettivo – spiega il coordinatore dello studio, Nicolas Rivron – è dare più potere alle donne, permettendo loro di controllare meglio la fertilità, sia che vogliano prevenire la gravidanza sia che vogliano aumentare le possibilità di avere un figlio. Vogliamo rendere la pianificazione familiare più semplice, conveniente e adatta alle sfide della società moderna”.
Il blastoide, l’avatar di un embrione umano allo stadio iniziale di sviluppo (fonte: Rivron/Nature/IMBA)
Lo studio si basa su esperimenti condotti usando i ‘blastoidi’, cioè strutture cellulari tridimensionali molto simili all'embrione umano nella sua fase iniziale di sviluppo (blastocisti). Descritti per la prima volta su Nature lo scorso marzo a opera di due gruppi di ricerca indipendenti, uno australiano e uno statunitense, sono stati utilizzati anche dai ricercatori austriaci, che li hanno coltivati per 13 giorni fino a ottenere agglomerati di circa 300 cellule.
Una coltura di blastoidi (fonte: Rivron/Nature/IMBA)
Grazie a questi modelli, sono riusciti a identificare i segnali molecolari che permettono ad alcune cellule dell’embrione di diventare ‘appiccicose’ per aderire alla parete uterina. Il segnale può essere spento grazie a una molecola, chiamata SC144, che è già stata approvata dall’Agenzia del farmaco statunitense (FDA): potrebbe dunque aprire la strada a una nuova pillola contraccettiva da assumere non quotidianamente ma solo al bisogno, per impedire l’impianto dell’embrione in utero. Non essendo a base di ormoni, questo farmaco potrebbe dare meno effetti collaterali risultando indicato anche per le donne che hanno avuto un tumore della mammella.
Sempre grazie ai blastoidi, i ricercatori austriaci hanno individuato anche una molecola naturale, chiamata LPA, che migliora l’auto-organizzazione delle cellule staminali e dunque potrebbe favorire la formazione degli embrioni durante le procedure di fecondazione artificiale. La sua sperimentazione potrebbe iniziare a breve in Belgio, dove il team della biologa Hilde Van de Velde alla Libera Università di Bruxelles è già in attesa del via libera da parte delle autorità nazionali.
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