Cellule tumorali riprogrammate in ‘cavalli di Troia’, che si autodistruggono uccidendo anche tutte le compagne che hanno intorno: è il risultato ottenuto dal gruppo di ricerca guidato dall’Università Statale americana della Pennsylvania, grazie all’introduzione di un interruttore genetico. Testata in laboratorio su cellule umane e topi, la tecnica pubblicata sulla rivista Nature Biotechnology si è dimostrata in grado di eliminare le cellule cancerose più resistenti alle terapie, che rischiano di moltiplicarsi nuovamente in un nuovo tumore sempre più difficile da curare.
I farmaci antitumorali a volte falliscono non perché non siano efficaci, ma a causa della diversità intrinseca del cancro e del fatto che, spesso, alcune cellule diventano resistenti al trattamento, consentendo al cancro di ripresentarsi. I ricercatori guidati da Scott Leighow hanno quindi cercato un modo per anticipare questo meccanismo e volgerlo a proprio vantaggio: hanno messo a punto un circuito genetico, una sorta di interruttore composto da due geni che vengono accesi e spenti in momenti diversi.
Quando viene attivato il primo, la cellula diventa temporaneamente resistente a uno specifico farmaco: in questo modo, il trattamento la lascia intatta, permettendole di moltiplicarsi a scapito delle altre cellule cancerose che hanno sviluppato la resistenza in modo naturale. A quel punto, il primo gene viene spento, facendo tornare vulnerabili le cellule, ed è invece acceso il secondo: si tratta di un gene suicida che produce una tossina capace di uccidere sia la cellula stessa sia quelle che la circondano, cioè quelle più pericolose per una recidiva.
“Il bello è che siamo in grado di prendere di mira le cellule tumorali senza sapere cosa sono, senza aspettare che crescano o che si sviluppi resistenza – dice Leighow – perché a quel punto diventa troppo tardi”.
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