Sono 53 le centrali nucleari in costruzione nel mondo e il Giappone, dopo un profondo rinnovamento, ha riavviato 9 dei suoi 35 reattori nucleari e altri 16 reattori sono in attesa di autorizzazione al riavvio: a dieci anni dall’incidente nella centrale nucleare di Fukushima, scatenato dal terremoto di magnitudo 9.0 e dal successivo tsunami, l’energia nucleare contribuisce al 10% della produzione mondiale di energia elettrica e i rapporti del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc) la considerano uno strumento importante per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici e per la riduzione delle emissioni di CO2. A tracciare il quadro dell’attuale ruolo dell’energia nucleare a livello internazionale è Matteo Passoni, presidente del corso in Ingegneria nucleare del Politecnico di Milano.
“Oggi nel mondo si produce più energia nucleare che nel 2011”, osserva l’esperto, e l’incidente di Fukushima ha insegnato che, “nonostante l’eccezionalità dell’evento naturale, l’incidente poteva essere evitato o almeno meglio gestito, come peraltro dimostrato dalle due centrali vicine di Onagawa e Fukushima-Daini, che hanno resistito senza problemi sia al sisma sia allo tsunami”. Da allora, prosegue, “è stata ulteriormente migliorata la sicurezza delle centrali, incrementando la capacità di gestire scenari imprevisti, con nuovi mezzi sia tecnologici sia organizzativi, è stata rafforzata l’indipendenza degli organi di sicurezza e controllo e si sta migliorando i processi di trasparenza e informazione e di coinvolgimento della popolazione”. Quanto alle vittime, i dati indicano con chiarezza che “non risultano decessi dovuti all’emissione di radiazioni derivante dall'incidente alla centrale”. I principali danni provocati all'uomo riguardano l'elevato numero di persone sfollate, 164mila, a seguito dell'evacuazione dell'area contaminata dalla radiazione rilasciata a seguito dell’incidente. Oggi, nonostante l’ordine di evacuazione sia stato revocato in gran parte della regione, rimangono ancora 40mila sfollati. L'eventuale sversamento in mare dell’acqua utilizzata per raffreddare i reattori danneggiati costituirebbe una delle possibili alternative previste dalla normativa, previa autorizzazione e verifica di non-impatto sanitario. Essa “produrrebbe, nell’acqua degli oceani, un aumento della radioattività pari a meno di un milionesimo del valore della sua radioattività naturale: sono calcoli e misure disponibili, che permettono di fare stime precise”.
Se alcuni Paesi, come Germania e Italia, hanno detto ‘no’ al nucleare e altri, come la Svizzera, stanno considerando di fare altrettanto, altri ancora hanno cominciato a dotarsi di questa tecnologia, come Turchia, Emirati Arabi, Arabia Saudita e Bielorussia, o stanno potenziando le loro centrali, come Cina, Russia, India, Finlandia e Gran Bretagna.
Si guarda intanto al futuro, dai reattori di quarta generazione alla fusione nucleare, e alle applicazioni, sempre più importanti in settori come la medicina, salvaguardia dell’ambiente, industria, esplorazione dello spazio e ricerca fondamentale. “Le giovani generazioni mostrano un grande interesse per le scienze e tecnologie nucleari, tanto che – conclude Passoni - quest’anno al Politecnico di Milano si registra il record di immatricolazioni alla laurea magistrale in Ingegneria Nucleare, con 100 nuovi studenti, rendendolo tra i più numerosi d'Europa”.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA